Anselm sta per Anselm Kiefer, pittore e scultore tedesco nato a Donaueschhingen, nella Foresta Nera, nel 1945. La sua vita viene raccontata, con robuste e astratte pennellate di grigio, nel film documentario di Wim Wenders. Prima di Anselm Wenders, anche lui tedesco, si era misurato nel genere documentaristico con la celebrazione della geniale coreografa e ballerina Pina Bausch e con la musica travolgente del Buena vista Social Club, il leggendario circolo di musicisti cubani.
Anselm è un documentario senza esserlo. La biografia di Kiefer è poco più di un cenno, immaginato e sotteso alla storia della sua opera artistica. Un racconto emotivo che travolge lo spettatore, filtrato attraverso la terza dimensione indossata dagli spettatori, che restituisce la potenza del messaggio di un artista visionario. Anzi di due artisti visionari. Perché da un lato si apprezza il viaggio visivo di Wenders, arricchito di musiche imponenti, di silenzi che parlano e di disturbanti suggestioni, e dall’altro si scopre l’opera omnia e raggelante di uno tra i più geniali artisti contemporanei.
In Italia, un assaggio di Kiefer si trova a Pistoia, nella biblioteca San Giorgio, e a Milano presso l’Hangar Bicocca, con i 7 palazzi celesti che sovrastano un soffitto che tocca il cielo e restituisce il senso dell’immenso, attraverso il grido della materia.
Ed è proprio la materia l’assoluta protagonista del lavoro di questo pittore tridimensionale. Ci sporchiamo le mani, con lui, affiancandolo nel processo creativo che è fatto di piombo fuso, fuoco dell’anima e fiamme invadenti, sparate sulla pittura, a bruciare di sofferenza la storia del mondo.
Kiefer è artista fisico, un operaio del pennello che sembra lavorare in fabbrica. Uno scultore demiurgo che impianta visioni nell’anima disturbata dei ricordi tristi.
Anselm è esperienza. Di questa arte, di questa sofferenza, di questa colpa che viene dal passato.
Nelle sue meraviglie c’è la guerra dei corpi, la puzza di nazismo, la meraviglia dell’inesplorato. Si viaggia nell’età antica, con le donne in bianco, senza testa, sovrastate di oggetti che dichiarano bisogni. Si viaggia nel passato con la triste pagina di storia nazista che è parte della sua controversa vicenda artistica. Si viaggia nel presente, con opere che ci parlano di vita, dentro alla morte e alla follia della guerra. Si viaggia nel futuro, con i palazzi celesti che trovano la natura spensierata e verdeggiante, tutto attorno ai suoi cupi e immensi atelier. Che sono fabbriche nauseabonde, piene zeppe di macchinari, di cornici doloranti, di visioni del mondo.
Kiefer parla all’uomo. Gli ricorda le sue debolezze, i suoi errori, le sue fatiche quotidiane. Martella le colpe in tele mastodontiche che da quadri diventano sculture e che da sculture diventano vere e proprie installazioni. Scomode, ingombranti, disturbanti.
Anselm va visto preparati, freschi di ripasso. Mentre Kiefer va scoperto al cinema, opera dopo opera, in un’esperienza multisensoriale che è l’opera artistica di un’opera artistica, nuova e stimolante. Che si può cogliere solo qui e ora, in un grande affresco d’arte, firmato Wenders.
Un grido ad alta voce, quello di Kiefer, che nell’inquietante galleria degli orrori quotidiani, fatti di guerra, abbandono, sconfitte, ci ricorda bonariamente che “tutti coloro che cadono, hanno le ali”.
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