La guerra sulla giustizia è iniziata. Il ministro Nordio ha concordato misure e strategie con Giorgia Meloni sul tema più annoso della politica post-Tangentopoli, ovvero la gestione separata delle carriere dei pubblici ministeri e dei giudici. Alla base c’è la volontà di ribadire che la magistratura inquirente va gestita in modo imparziale e debellare le correnti che hanno in mano il potere vero da sempre. Nonostante si sia assistito alla “confessione” di Palamara sui metodi con cui si nominano i principali dirigenti delle procure italiane, nulla è cambiato. Restano ancora divisioni, lotte e accordi per mettere le mani sugli uffici più prestigiosi e di maggior potere. E tutto fa intendere che, senza una radicale riforma, un vero e proprio sconquasso del sistema, sia impossibile cambiare alcunché.
Detta in sintesi, la riforma prevede due collegi distinti per la gestione dei giudici e dei pm, l’elezione tramite sorteggio e, soprattutto, una Alta Corte che giudichi i giudici. Una riforma che di fatto ha il sapore della rivoluzione, ma che ha due ostacoli.
Il primo, istituzionale, è il pensiero del presidente Mattarella. Il capo dello Stato è il presidente del CSM, come prevede la Costituzione, nonché il primo garante della Carta Costituzionale. Il suo vaglio sarà essenziale per dare un primo via libera alla riforma. Non è pensabile cambiare le regole in tal modo senza avere un dialogo con la Presidenza della Repubblica che, per quanto neutrale, su questi temi ha il dovere di dire la sua. Va detto che Mattarella sul tema ha un approccio molto prudente, ma le guerre interne alla magistratura non gli vanno a genio per niente. Più volte ha fatto appello all’alto ruolo dei magistrati per invocare sobrietà e trasparenza. Più volte non è stato ascoltato.
Cosa ne pensi dell’ipotesi di riforma Nordio lo si capirà nel giro di qualche settimana. Se arriveranno moniti o dichiarazioni di esponenti a lui vicini, il Governo farà bene a tenerne conto. Ma se Nordio e la Meloni sapranno giocarsela, Mattarella potrebbe essere un loro alleato, avendo più volte richiamato la necessità di riformare il CSM per renderlo più indipendente.
Più delicata la questione dell’Alta Corte. Molto dipenderà da come sarà scritta la norma che la istruisce e quali poteri avrà in concreto.
Il secondo ostacolo è più politico. E non è l’opposizione. In Parlamento la maggioranza ha numeri ampi e nell’opposizione in tanti non vedono l’ora che la riforma si faccia, solo i 5 Stelle ed il Pd (non tutto) si opporranno. Le altre forze sono pronte a farsi da parte per agevolare il cambiamento delle regole. La vera opposizione politica sarà quella delle correnti interne alla magistratura. Acciaccate, meno evidenti ma sempre in lotta. Ultimi caso quella della Procura di Milano che dopo diversi decenni, ed una lotta arrivata al Consiglio di Stato, vede per la prima volta a dirigerla un magistrato che non è esponente di Magistratura democratica. Il che è già di per sé una notizia, ma quella vera è che per quella nomina si sono confrontate senza limiti le diverse correnti che hanno agito come se la vicenda Palamara non fosse mai accaduta. Cosa faranno quei magistrati impegnati politicamente nelle correnti?
Per loro la strada è impervia. Opporsi ad una legge dello Stato votata dal Parlamento in modo plateale rischia di essere quasi eversivo, scioperi e manifestazioni rischiano di trasformarsi in un boomerang. Anche perché manca il nemico. Non c’è più il Caimano Berlusconi, che a loro dire voleva l’impunità, e le riforme sono ampiamente attese, quindi come si potrebbe giustificare una massiccia reazione dei magistrati?
Qualcuno fa intendere che possa essere utile una campagna in nome della libertà dei magistrati evocando il rischio della destra fascista. Ma servirebbe? Detto con chiarezza, non pare: la riforma così come proposta lascia ai magistrati il loro autogoverno ma limita i poteri delle correnti. Nulla cambia per l’esercizio delle loro funzioni, semplicemente si combattono le correnti. Ma il tema sarà usato e urlato, sperando che serva alla causa dei partiti di opposizione che li appoggiano.
A quel punto, se la maggioranza non verrà travolta da altre vicende, a partire da quelle economiche, ed il Quirinale non si metterà di traverso, nonostante qualche reazione forte e e qualche agitazione, la riforma passerà. E sarà di sicuro, se riesce, l’atto politicamente più rilevante del Governo. Un omaggio postumo alle battaglie del fondatore del centrodestra italiano, Silvio Berlusconi, e la fine di una certa sinistra che mano a mano sta perdendo la sua egemonia anche tra le toghe. Il futuro potrebbe essere alle porte. Anche per i magistrati.
— — — —
Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.