Dunque vedremo davvero, cioè dal vero, il Caravaggio ritrovato che due anni fa aveva fatto tanto scalpore. L’unico Caravaggio riemerso negli ultimi anni accettato dalla critica senza se e senza ma. Verrà esposto al Prado dal 27 maggio e nel 2025 arriverà a Roma a Palazzo Barberini. Il fatto che un museo come il Prado lo esponga suona un po’ come una ulteriore consacrazione critica, che sgombra ogni residuo dubbio sull’attribuzione. Il ritrovamento dell’opera era stato un evento dai risvolti rocamboleschi: l’opera era infatti in procinto di essere battuta ad un’asta a Madrid come di un artista minore del Seicento, quando si era sollevato un silenzioso tsunami che aveva indotto i proprietari a ritirarla dalla vendita. Silenzioso perché la sensazione che quell’opera nascondesse qualcosa di clamoroso si era diffusa tra compratori che speravano di potersela accaparrare a poco prezzo e stavano quindi, come si suol dire, con l’acqua in bocca. Tra i critici, i pochissimi che avevano avuto la possibilità di vederlo confermavano l’attendibilità di quelle voci: la prima era stata Cristina Terzaghi, storica dell’arte a Roma Tre, alla quale è stato affidato il saggio per il catalogo di Madrid.
Lo vedremo dunque tutti dal vero, grazie ad un accordo con il collezionista che se lo è assicurato ad un prezzo che pare si aggiri sui 36 milioni di euro.
Fatto sta che ancora una volta Caravaggio ha acceso l’attenzione un po’ spasmodica dei media (ieri campeggiava sulla prima pagina di Repubblica) e l’attenzione di un pubblico pronto a mettersi in fila per ammirarlo, per quanto per molti sia complicato persino riconoscere il soggetto rappresentato e il suo significato. Perché allora Caravaggio continua a innescare questa eccitazione e a suscitare tanto fascino?
È una domanda forse banale che però può attivare riflessioni nient’affatto banali. In tanti casi Caravaggio si trova a dipingere soggetti che vengono percepiti come eredità di un mondo tramontato. Eppure se i suoi quadri conquistano e fanno breccia nel pubblico del nostro tempo è perché, all’opposto, Caravaggio porta tutto al presente; porta tutto ad un “oggi”, come sosteneva genialmente il grande storico dell’arte Roberto Longhi. Caravaggio brucia le distanze in forza di un’adesione al dato che cambia la natura di ciò che viene rappresentato: non più un semplice svolgimento narrativo di belle vicende di un tempo che è stato, ma un mettersi ogni volta a tu per tu con i fatti rappresentati.
Così ogni volta per noi è come assistere ad una ripresa in diretta dei fatti, che rinnova la dinamica con cui quei fatti erano accaduti duemila anni fa. Incontri reali, circoscritti all’attimo preciso in cui accadono, come in questo Ecce homo dove nello sguardo di chi da dietro sta levando il mantello dalle spalle di Gesù si misura lo sconcerto per quel che sta accadendo: scopre il copro sofferente di Gesù e intanto percepisce che la situazione sta sfuggendo fuori controllo.
In Caravaggio è tutto vero, tutto reale, tanto che il guardare diventa quasi l’esperienza di un toccare con mano. Lo è anche per noi, uomini di un mondo così diverso e così lontano. Per questo senza magari neanche avere gli strumenti per capirne il perché, in tanti si sentono conquistati dalla verità di questi quadri, schegge di un cristianesimo che arriva al cuore perché ricondotto al suo essenziale.
— — — —
Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.