Competenza, coraggio e anticonformismo sono tre qualità rare. Ancora più raro ritrovarle in una stessa persona. Eppure, se c’è stato un filo conduttore nel ricordare a un anno dalla morte Umberto Minopoli è stato proprio l’unanime riconoscimento del suo tratto professionale arricchito da quello personale: tenace fino alla testardaggine, impetuoso, generoso.
Umberto è stato molte cose: attivista politico maturato negli anni d’oro dei Giovani Comunisti, dirigente d’azienda, polemista e scrittore di argomenti tosti come quelli che toccano le stelle e il firmamento. Segno della sua grande curiosità intellettuale che ne faceva un uomo di cultura vasta e non applicata al semplice particolare come sempre più spesso accade.
Tra i tanti suoi meriti uno spicca in modo particolare: l’aver difeso sempre e comunque l’opzione nucleare per la produzione di energia in Italia anche quando il solo pensarlo poteva portare al pubblico linciaggio. Senza timore di andare controcorrente e munito di solide ragioni, Minopoli ingaggiava furibonde battaglie d’idee contro chi trovava conforto nel pensiero unico.
Adesso è tutto più semplice. L’argomento non è più tabù. Anzi, esprimere in un qualsiasi consesso che il Paese non può restare indietro nella ricerca sull’atomo e che occorre studiare il modo di partecipare con utilità all’attivazione dell’unica tecnologia che a oggi garantisce il raggiungimento degli obiettivi di decarbonizzazione è senz’altro ritenuto politicante corretto.
Se questo è avvenuto lo dobbiamo certamente all’incrollabile fiducia in se stessi e nelle proprie ragioni di persone come Umberto Minopoli – a un tratto del suo cammino presidente di Ansaldo Nucleare e al vertice dell’Associazione italiana nucleare – che hanno saputo patire l’isolamento e l’ostilità anche tra i compagni di vecchia data pur di non tradire gli ideali.
Che, poi, non tanto di ideali si trattava quanto di ferme convinzioni dovute all’approfondimento maniacale che usava mettere nelle cose in cui si cimentava (competenza), diventandone un fiero testimone contro il sentimento dominante (anticonformismo), accettando di patire l’incomprensione e la solitudine (coraggio). Vedeva dove gli altri non arrivano e per questo pagava.
Gli amici più cari, i familiari e chi ha avuto modo d’incrociarlo lungo la strada della vita hanno riconosciuto che è stato “il migliore” di una generazione con grandi sogni e scarse possibilità di vederli realizzati. Concreto e pratico come quelli che si applicano a scrutare il cielo e a sondarne i misteri – su questa esperienza ha scritto un libro bellissimo -, aveva una risposta per tutto.
E spesso era ispirata dal cuore che addolciva l’intransigenza verso il dilettantismo, il pressappochismo e il lassismo che vedeva espandersi intorno a sé. Per suscitare l’indulgenza di Umberto in qualsiasi discussione quello dell’affetto era l’unico tasto che potevi toccare. E portava il discorso su altro, sulle piacevoli e piccole cose che uniscono e ti fanno riconciliare.
Per tutto questo Umberto è stato un esempio. Meglio, è diventato un esempio che sarà difficile imitare e pur tuttavia non si potrà ignorare. Di personalità forti e capaci, inclini all’approfondimento, abituate a informarsi prima di esprimere un’opinione o di prendere una decisione ci sarebbe tanto bisogno. Intanto, sarà già un bene non disperderne l’eredità dell’azione.
P.S.: Un rinnovato grazie a Claudio Velardi e alla sua fondazione Ottimisti e Razionali per aver organizzato un confronto pieno di contenuti e senza fronzoli. Come a Umberto sarebbe piaciuto.
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