L’inflazione in America ad aprile è scesa al 3,4% dal 3,5% di marzo in linea con le attese degli investitori. Il dato “core”, al netto di alimentari ed energia, è stato leggermente superiore (3,6%) e ha registrato il valore più basso da aprile 2021.
Il calo di ieri non ha modificato particolarmente le attese degli investitori; la data più probabile per la prima riduzione dei tassi da parte della Fed rimane settembre e i tagli previsti per il 2024 rimangono due. L’inflazione scende, ma rimane superiore all’obiettivo del 2% e il ritmo del calo rimane contenuto.
A rubare la scena al dato sui prezzi è stato quello dell’andamento sulle vendite al consumo che, al netto di automobili e benzina, sono calate dello 0,1% rispetto allo stesso mese del 2023 contro attese di un incremento dello 0,2%. Il dato conferma uno scenario di rallentamento economico cheè più difficile da leggere rispetto ad altre fasi.
La prima novità è che il rallentamento inizia con un’inflazione che, seppur in calo, rimane sopra la media degli ultimi tre decenni. È necessario poi un chiarimento: inflazione in calo non significa prezzi in calo. I prezzi tengono o aumentano leggermente da livelli molto alti perché l’inflazione cumulata negli ultimi due anni è superiore al 20%, mentre su alcuni beni i rincari sono ancora più alti. La media degli incrementi salariali negli Stati Uniti è stata buona, ma comunque alcune fasce della popolazione o alcuni settori sono rimasti esclusi in tutto o in parte da questa dinamica. Su alcuni beni, spesso di prima necessità, gli incrementi sono stati particolarmente alti.
Questo scenario rende i consumi particolarmente fragili a un rallentamento economico; un indebolimento del mercato del lavoro esporrebbe parte dei consumatori a prezzi molto più alti di quelli del 2021, perché i risparmi si sono svalutati e perché i costi vivi sono strutturalmente più alti. Questo è vero per gli Stati Uniti e anche per l’Europa dove è vero che l’inflazione è stata minore, ma dove anche i salari sono cresciuti di meno.
Gli Stati Uniti entrerebbero in una fase di rallentamento con il deficit già molto superiore alla media, con condizioni finanziarie già espansive e alla vigilia di una virata protezionistica. Un eventuale ciclo di espansione monetaria rischia di avere caratteristiche molto diverse da quelli a cui siamo stati abituati. La questione di “domani” è il rallentamento dell’inflazione e il taglio dei tassi. ma già ora è inevitabile chiedersi quanto tempo possa passare prima che l’inflazione riparta e a quale livello di deficit e di prezzi si arriverà.
Aver chiuso con i rialzi dei tassi troppo presto, aver annunciato il cambio di politica monetaria a dicembre con l’economia e i mercati in crescita e l’inflazione al 4% ha regalato ai mercati sei mesi euforici e ha prolungato il ciclo economico oltre qualsiasi attesa. Aver mantenuto la politica fiscale fortemente espansiva con un’economia in recupero ha sostenuto ulteriormente la crescita e anche i prezzi. Questi benefici sono stati “rubati” dal futuro ciclo economico e oggi presentano il conto. L’Europa intanto non è immune ai prezzi dell’economia americana senza averne però la forza.
La fragilità dei consumi e un indebolimento economico, la dinamica dei prezzi e i deficit pubblici sono le questioni principali della possibile fase di rallentamento che si apre sia negli Stati Uniti che in Europa.
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