“I vizi – rilasciati – dilagano e danneggiano. Ma anche le virtù, lasciate in balia di sé stesse, si diffondono più selvaggiamente e fanno anche più terribili danni. Il mondo moderno è pieno di antiche virtù cristiane impazzite. Le virtù sono impazzite perché sono state isolate l’una dall’altra e stanno vagando sole. Così ad alcuni scienziati sta a cuore la verità, e la loro verità è spietata. Così ad alcuni umanitari interessa solo la pietà, e la loro pietà (mi spiace dirlo) è spesso falsa”. (Gilbert Keith Chesterton, Ortodossia).
In questo famoso passo dello scrittore inglese non solo i vizi, ma anche e soprattutto le virtù per il fascino che esercitano – forse specialmente quando si sviluppano in maniera anarchica – possono danneggiare l’uomo, frammentandolo e impoverendolo. Oggi, a motivo dei grandi mutamenti avvenuti, emergono nuove virtù o forse nuove accentuazioni di vecchie virtù, che rischiano, tuttavia, di non essere fra loro coordinate. Pur non aderendo al contesto religioso dell’autore, in un recente volume scritto insieme ad uno psicologo, il filosofo Kristján Kristjánsson fa sua l’affermazione di Chesterton per giustificare la centralità della saggezza (phronesis) come quella virtù capace di informare le altre virtù e di rispondere all’esigenza di unificazione della vita e della condotta (Kristján Kristjánsson, Blaine J. Fowers, Phronesis. Retrieving Practical Wisdom in Psychology, Philosophy and Education, Oxford University Press 2024).
Kristjánsson fa riferimento all’incomunicabilità fra le opposte posizioni dei pro vax e dei no vax durante la recente pandemia. Ma lo stesso potrebbe valere per il contrasto tra ecologisti radicali e negazionisti, fra difesa delle minoranze e difesa degli interessi di tutti, come pure in ambito accademico e giornalistico fra tensione ad affermare la verità e timore di urtare la sensibilità altrui.
Significativamente molte recenti pubblicazioni in lingua inglese riguardano il tema della centralità della saggezza. Si veda per esempio anche il recente saggio di M. De Caro, C. Navarini, M.S. Vaccarezza, Why Practical Wisdom Cannot be Eliminated; Topoi, February 2024. Senza entrare nel merito di discussioni troppo complesse per essere esposte in questa sede, ci si deve chiedere: che cosa unifica la vita? Innanzitutto la sincera ricerca e affermazione di un fine, di un senso sufficientemente comprensivo da essere in grado di unificare l’esperienza. Questa dimensione fa parte costitutiva e centrale della saggezza. Proprio sul tema della ricerca del senso, sempre nell’ambito delle pubblicazioni in lingua inglese, un volume è ancora estremamente chiaro e interessante: John Cottingham, On the Meaning of Life, Routledge 2003.
Riproporre il tema della saggezza come apertura alla domanda di senso della vita e dell’agire, riallacciandoci alla migliore tradizione filosofica a partire dai greci, e aprendo spazi di libera e amichevole discussione nei vari ambienti anche su temi difficili come natalità, disagio giovanile, fine vita è forse il compito più interessante e urgente che intellettuali ed educatori hanno di fronte. Ma occorre sottolineare che la saggezza non è mai disgiunta dal coraggio intellettuale. Altrimenti il rischio è quello di evitare i grandi temi oppure quello di fermarsi a un minimo comun denominatore che tutti accomuna, ma che è essenzialmente irrilevante, evitando così il difficile, ma decisivo e affascinante compito, di armonizzare fra loro le virtù.
Come osserva Michael Sandel: “abbiamo bisogno di una vita civile più sostanziale e più impegnata di quella cui siamo ormai abituati. Negli ultimi decenni siamo arrivati a pensare che rispettare le convinzioni etiche e religiose dei nostri concittadini significhi ignorarle […] Ma questo non vuol dire evitare il dissenso, bensì sopprimerlo nel nome di una forma molto ambigua di rispetto, e ciò può suscitare reazioni negative e risentimento. Può anche derivarne un impoverimento del discorso pubblico, che oscilla da un ciclo di notizie al successivo concentrandosi su quanto serve a creare scandalo, sensazionalismo, banalità […] Non ci sono garanzie che dedicandosi a discutere in pubblico gravi questioni etiche si possa arrivare, in qualunque situazione, a concordare sulle opinioni etiche e religiose altrui, anche solo ad apprezzarle. Ma, finché non avremo provato, non avremo modo di saperlo” (Giustizia. Il nostro bene comune, Feltrinelli 2013, p. 275).
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