Due settimane fa la trasmissione Le iene ha mandato in onda un’intervista al cantante Capo Plaza (pseudonimo di Luca D’Orso, classe 1998) realizzata dal giornalista Nicolò De Devitiis. Il cantante si è trasferito a Parigi perché la sua notorietà gli impediva di muoversi liberamente tra le strade italiane, senza essere riconosciuto da qualche fan. A un certo punto, arrivati alla sera in albergo, prima di addormentarsi, dopo una giornata in cui ci si è potuti permettere di tutto, emerge la vera questione: la solitudine. Capo Plaza guarda il giornalista e, mostrandogli il suo cellulare, gli fa notare che nessuno l’ha chiamato. Il suo canale YouTube ha quasi due milioni di iscritti. Alcuni suoi video sono stati visti da più di quattro milioni di persone, eppure confida il suo disagio nel non essere cercato. Un’intervista tutta da vedere, per capire la portata del nostro desiderio dalla voce sincera di un ragazzo che non nasconde nulla di ciò che gli manca. Esattamente come quel giorno di cui oggi la Chiesa fa memoria.
Quegli uomini avevano visto tutto, avevano ascoltato tutto, sapevano tutto, eppure erano rinchiusi nel cenacolo in preda alla paura. Accadde però un fatto imprevisto che l’evangelista Luca, nel libro degli Atti degli Apostoli, racconta così: “Mentre il giorno di Pentecoste stava per finire, si trovavano tutti insieme nello stesso luogo. Venne all’improvviso dal cielo un rombo, come di vento che si abbatte gagliardo, e riempì tutta la casa dove si trovavano. Apparvero loro lingue come di fuoco che si dividevano e si posarono su ciascuno di loro; ed essi furono tutti pieni di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue come lo Spirito dava loro il potere d’esprimersi” (At 2, 1-4).
Da soli, con le loro forze, con la loro intelligenza, non avrebbero potuto rischiare così tanto. Tutto sarebbe stato inesorabilmente consegnato ai ricordi, alle raccomandazioni fatte a partire da grandi insegnamenti, alla nostalgia di intense giornate passate insieme. Ma Dio aveva in mente altro, aveva in mente tutto, e lo ha reso possibile. Sant’Ireneo di Lione descrive così la portata della Pentecoste: “Il Signore, concedendo ai discepoli il potere di far nascere gli uomini in Dio, diceva loro: ‘Andate, ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo’ (Mt 28, 19). È questo lo Spirito che, per mezzo dei profeti, il Signore promise di effondere negli ultimi tempi sui suoi servi e sulle sue serve, perché ricevessero il dono della profezia. Perciò esso discese anche sul Figlio di Dio, divenuto figlio dell’uomo, abituandosi con lui a dimorare nel genere umano, a riposare tra gli uomini e ad abitare nelle creature di Dio, operando in essi la volontà del Padre e rinnovandoli dall’uomo vecchio alla novità di Cristo”.
Da una parte è lo Spirito Santo che deve “abituarsi a dimorare nel genere umano”, dall’altra l’uomo, senza lo Spirito Santo, non è in grado di comprendere fino in fondo chi è e il compito che ha e, quindi, non può passare “dall’uomo vecchio alla novità di Cristo”, non può “nascere in Dio”. Resta fermo anche se si agita, non realizza nulla anche se ha le mani dappertutto. Più siamo consapevoli del vecchiume di cui siamo capaci, più il cuore avverte l’urgenza di una novità.
Può capitare, però, di ritenere questa novità come un miracolo che debba accadere davanti ai nostri occhi in un futuro migliore del presente, quando finalmente si realizzeranno i nostri progetti. L’allora card. Ratzinger, a questo proposito, scrisse: “Il senso della Pentecoste non è quello di farci sognare mondi migliori per il futuro, né tanto meno quello di fare di noi degli strateghi del futuro, che sacrificano alla leggera il presente alla chimera di ciò che sarà. Il senso di questo giorno è piuttosto, al contrario, quello di destarci all’oggi, alla silenziosa forza della bontà divina che bussa alla nostra esistenza e vorrebbe trasformarla” (tratto da Joseph Ratzinger, Cercate le cose di lassù. Riflessioni per tutto l’anno, Paoline 1986).
Ma, convinti come siamo di essere i numeri uno, chi desidera veramente questa novità per sé? Chi, in mezzo alle mille iniziative con cui tamponiamo i nostri vuoti, non ha ancora rinunciato a diventare un uomo o una donna nuovi? Chi, abituato a tutto, si aspetta il vero cambiamento da questa divina irruzione nella vita? La festa di Pentecoste arriva dritta al cuore di tutto, ridestando in noi il desiderio di essere cercati, che quel cellulare suoni, che qualcuno si accorga di noi, che ci stupiamo di essere voluti. Ma si può sapere Chi ha messo in noi questa urgenza?
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