Aggiornamento dello scenario “deglobalizzazione conflittuale e riglobalizzazione selettiva”. Tale programma fu avviato dal mio gruppo di ricerca euroamericano nel 2013 quando l’Amministrazione Obama attivò la creazione di due aree di mercato amerocentriche – una nel Pacifico, Tpp, e l’altra nell’Atlantico, Ttip – che escludevano Cina e Russia. Pechino rispose lanciando una contro-iniziativa simmetrica, la Via della seta. Mosca, nel 2014, incrementò la pressione contro la Germania, anche attaccando l’Ucraina, per sabotare l’accordo euroatlantico, riuscendoci sia per l’ostilità della Francia, sia per il timore di Berlino di perdere i mercati cinese e russo.
Nel 2017 l’Amministrazione Trump ritirò l’America dal Tpp, lasciò congelato il Ttip, fece dichiarare la Cina nemico sistemico (con consenso bipartisan) e alzò sia dazi pesanti dissuasivi/condizionanti contro il suo export sia intraprese azioni punitive contro la Germania. Poi, però, firmò un accordo di libero scambio con il Giappone (e questo con l’Ue) e, pur con revisioni restrittive, mantenne il libero scambio ex Nafta con Canada (che cercò analogo trattato con l’Ue, il Ceta) e Messico.
Nel 2021 L’Amministrazione Biden proseguì questa linea estera americanista, ma, preso atto della convergenza tra Cina e Russia, prese una postura più collaborativa con l’Ue: fu nuova bipolarizzazione conflittuale nel mondo. Nel 2023 America e Cina concordarono un limite alla conflittualità diretta che ne implicava uno alle sanzioni e dazi.
Aggiornamento: ora l’Amministrazione Biden ha esteso dazi pesantissimi contro l’import di auto elettriche cinesi, pannelli solari e altre materie, oltre alla negazione di tecnologie strategiche, accusando Pechino di dumping. Mossa solo elettorale? Non solo: tutte le economie rilevanti del mondo esterne al blocco sinocentrico mostrano preoccupazione per l’eccesso di concorrenzialità, che comporta rischi di deindustrializzazione locale, dell’export cinese. Pertanto Washington ha visto un’opportunità di leadership nell’aumentare l’ostilità verso la Cina, in continuità con le Amministrazioni Obama e Trump.
L’Ue verrà pressata per convergere con l’America e ciò metterà in ulteriore difficoltà la Germania, per motivi commerciali, e la Francia per il suo intento di autonomia strategica dell’Ue. Ma, in generale, l’aumento delle tensioni limitative al commercio globale pone un rischio di depressione? Dipende dalla scala della riglobalizzazione selettiva nell’area del G7 e alleati (in aumento) più che da un mutamento della politica cinese: Pechino non sta dando segnali pacificanti di rilievo, né li darà in occasione della visita di Putin, pur consigliandoli limiti e riducendo i flussi finanziari (aperti) con la Russia per cercare di evitare sanzioni statunitensi. Ma sarà una finta. Pertanto, per ridurre il rischio di depressione va ampliata rapidamente l’area di riglobalizzazione selettiva spinta da una compattazione ed estensione dell’alleanza G7. Dove il punto critico sarà un trattato di libero scambio tra Usa e Ue, non a caso da anni invocato dal Partito popolare tedesco.
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