Partiamo da un punto fermo: resterà deluso chi attende dal presidente della Repubblica un intervento pubblico apertamente contrario alla riforma del premierato. È una conseguenza del ruolo assegnato dalla Costituzione a ogni potere dello Stato, di cui Mattarella è profondamente convinto.
A inizio marzo il Capo dello Stato ha spiegato: il presidente non è un sovrano, è chiamato a promulgare le leggi, anche se non gli piacciono, a meno che non vi veda evidenti ragioni di incostituzionalità. Corollario: in virtù della separazione dei poteri, ciascuno deve svolgere il proprio ruolo, lui deve tenersi pronto a firmare quanto deliberato dalle Camere. E se il Quirinale intervenisse su una materia oggetto di un confronto in pieno svolgimento, si tratterebbe di un’invasione di campo.
Poste queste premesse, inutile nascondersi che la prospettiva del premierato non entusiasmi affatto il Capo dello Stato. Facile pensarlo, sulla base della sua storia politica. Ed è altrettanto facile immaginare che in maniera diretta, o indiretta, attraverso contatti con i protagonisti della maggioranza e con i loro esperti, qualche elemento di perplessità sia stato fatto trapelare, esercitando la sua ormai proverbiale (e spesso efficace) “moral suasion”. Perché della Carta del 1948 Mattarella ha sempre apprezzato l’armonia e la lungimiranza. “La nostra Costituzione – ha detto la scorsa settimana – è stata scritta, con grande saggezza e altrettanta perizia, con norme capaci di essere applicate persino a temi allora sconosciuti e a situazioni imprevedibili”.
C’è però una profonda differenza fra prima e seconda parte della Costituzione. Nella prima ci sono diritti e doveri, e Mattarella ha piuttosto richiamato rispetto ai rischi del “presentismo”, consistenti nell’inserire nel testo temi di attualità (sport, ambiente, isole, ecc.), che a suo giudizio erano già ricompresi in senso ampio nel dettato vigente. Nella seconda parte si descrive l’architettura costituzionale, che – invece – è emendabile, specie se tesa a una maggiore efficienza. Non si dimentichi come Mattarella avesse auspicato più volte, appena eletto al Quirinale, il completamento del processo di riforme avviato da Renzi. Non era un aperto sostegno a quel disegno, bensì la consapevolezza che di qualche ammodernamento ci fosse bisogno.
Certo, il come si interviene fa la differenza, ma è difficile immaginare che Mattarella sia diventato conservatore tout court. Il focus delle preoccupazioni sarà piuttosto intorno al vedere intaccato in modo irreparabile il principio di equilibrio fra i poteri. E probabilmente non mancheranno richiami pubblici ai valori di fondo, come fatto più volte in materia di autonomia differenziata in questi mesi, quando si sono moltiplicati gli appelli a non minare la prospettiva unitaria. Il tutto nell’ambito di una vigilanza continua, dimostrata in questi giorni dalla “interlocuzione” intorno all’intenzione del Governo di procedere con una raffica di decreti legge alla vigilia delle europee. Perché l’eccesso di decretazione d’urgenza è stato più volte criticato, ben prima dell’approdo di Meloni a Palazzo Chigi.
Più volte Mattarella ha richiamato le istituzioni a svolgere il proprio compiti in spirito di collaborazione. Il premierato incide sull’equilibrio disegnato dai Costituenti, e potrebbe comprometterlo. Molto però dipenderà dal testo finale che uscirà dal Parlamento, e dalla norma più importante che ne darà attuazione, la legge elettorale. Quindi, il giudizio finale si potrà dare solo a testi cristallizzati. Il diavolo, si sa, spesso si annida proprio nei dettagli.
Di un aspetto, però l’entourage mattarelliano è convinto: falso dire che i poteri del Capo dello Stato rimangano inalterati, come sostiene la maggioranza difendendo il premierato. Dopo aver gestito due crisi di governo ingarbugliatissime (quelle del 2018 e del 2021), dopo aver dovuto chiamare due non parlamentari, Conti e Draghi, con maggioranze costruite in parlamento e non nelle urne, la prospettiva di privarsi della possibilità di una soluzione tecnica non entusiasma. Ma se il Parlamento deciderà per il premierato, e il referendum popolare confermerà, Mattarella non potrà che adeguarsi alla volontà popolare. Con una postilla: solo nel momento dell’effettiva entrata in vigore della riforma l’attuale capo dello Stato si porrà il problema della sua permanenza al Quirinale, anche se al quel punto mancherà poco alla fine del suo secondo mandato. Non un minuto prima. Le somme si potranno tirare solo alla fine.
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