La Cina Popolare ha ancora bisogno di tempo per prepararsi a un’eventuale invasione di Taiwan, per avere sia la forza di prendere l’iniziativa, sia di portare a termine con successo l’eventuale aggressione. Che poi lo faccia è tutto da vedere, perché le controindicazioni sarebbero molte: scatenerebbe, con buona certezza, la reazione degli americani, si esporrebbe in un’operazione militare comunque non di facile successo e rovinerebbe i rapporti con molti altri Paesi nel mondo, che della tecnologia taiwanese e dei suoi microchip hanno bisogno per la loro industria ed economia. “Un attacco del genere – dice Giuseppe Morabito, generale dell’Esercito, fondatore dell’IGSDA e membro del Collegio dei direttori della NATO Defense College Foundation – creerebbe al sistema economico mondiale più danni del Covid-19 e del blocco delle esportazioni del gas russo”.
Per questo la priorità del nuovo presidente taiwanese William Lai (o Lai Chin-te, che dir si voglia), appena insediatosi, sarà ancora quella della difesa della libertà dell’isola governata democraticamente, per dissuadere Pechino da un’invasione più volte annunciata ma mai messa in atto, perché comunque scatenerebbe un conflitto USA-Cina Popolare dalle devastanti ripercussioni a livello mondiale.
Generale, cambia il presidente ma il tema per la Repubblica di Cina-Taiwan è sempre quello dei rapporti con la Cina Popolare. Cosa bisogna aspettarsi da William Lai rispetto a chi lo ha preceduto?
Era il vice della presidente Tsai Ing Wen: siamo nel segno della continuità e dei buoni rapporti con gli USA e il mondo occidentale. Taiwan sa che deve essere in grado di difendersi dall’eventuale attacco di un aggressore. Per quello che può, cercherà di mantenere un sistema di difesa ottimale, forte degli Stati Uniti come principale fornitore di armi e tecnologia.
I taiwanesi sono in grado di difendersi?
Bisogna sempre vedere chi è l’aggressore. Sono in grado di difendersi da un’aggressione limitata, non da un eventuale attacco distruttivo di massa portato dalla Cina Popolare sostenuto da un blocco navale. Hanno un sistema di difesa denominato “porcospino” ideato per fare in modo che un attacco all’isola sia totalmente dispendioso per l’aggressore. Dispendioso per vite umane e perdita di mezzi, tanto da indurre il nemico almeno a pensarci due volte prima di metterlo in atto.
Quali sono gli aculei del “porcospino”?
Si basa su un sistema di difesa aereo integrato e un sistema radar e missilistico che si appoggia su una buona produzione interna di armi contraeree, ma anche sul controllo navale dello stretto, su un sistema di difesa con contromisure cibernetiche e su forze di fanteria idonee a contenere un attacco. Non sarebbe per niente facile attaccare Taiwan e il suo popolo.
Per il fatto che è un’isola?
Visto il sistema orografico, un attacco organizzato contro Taiwan non ha molte aree di sbarco e comunque si tratta di zone molto ben conosciute sia dalle forze armate di Pechino sia dai taiwanesi. Nelle altre aree del territorio non c’è la possibilità di proseguire in profondità dopo lo sbarco di una testa di ponte, il terreno è fortemente urbanizzato, con molte attività agricole e stretti passaggi stradali tra imponenti ostacoli naturali. Occupare l’isola è veramente complesso e la Cina Popolare ne è cosciente. E conosce bene la determinazione a difendersi dei taiwanesi.
La priorità del nuovo presidente rimane comunque la difesa?
La priorità è l’autonomia del Paese nel rispetto dello Stato democratico, non l’indipendenza, in continuità con la presidenza precedente. Anche in parlamento c’è una maggioranza formata, anche se non è assoluta, simile a quella della legislatura appena conclusa. I taiwanesi vogliono vivere in libertà e democrazia, con buona pace del Partito Comunista al potere a Pechino.
I rapporti con la Cina Popolare come sono? Hanno contatti che si possono sfruttare per allentare la tensione?
Ci sono rapporti continui, molti industriali taiwanesi fanno affari in Cina Popolare e lo scambio economico è consistente. Certo, a Taipei non è prevista nessuna unificazione: i taiwanesi cercano di confrontarsi, ma Pechino continua a ripetere che si prenderà Taiwan anche con la forza. Non è comunque un dialogo tra sordi…
Proprio in occasione dell’insediamento di William Lai la Cina Popolare ha sanzionato tre aziende USA che avrebbero fornito armi a Taiwan, bloccando sulla piattaforma social Weibo l’hashtag con il nome del nuovo presidente. Prima o poi attaccherà? Secondo alcuni analisti lo farà nel 2027 o 2028: una previsione plausibile?
Non credo che la Cina Popolare sia oggi pronta ad attaccare. Pechino vuole unificare l’isola al continente e non cambia idea, ma gli analisti che fanno queste ipotesi temporali considerano solo quanto stiano aumentando le capacità militari della Cina Popolare. Gli esperti prevedono quale sarà in futuro la forza militare del Dragone dal punto di vista terrestre, navale e aereo, se ci saranno soldati sufficienti per quello che i cinesi prevedono di fare, la tecnologia e le capacità offensive cibernetiche. Ma tra avere le capacità materiali di un’aggressione e metterla in atto passa il mondo. Pechino deve valutare bene cosa vuole fare: attaccare Taiwan vorrebbe dire creare le condizioni per una crisi con molti altri Paesi. Attaccare, insomma, potrebbe essere un boomerang, aggredire e non riuscire nell’azione ancora peggio.
Gli americani che tipo di sostegno assicurano ai taiwanesi?
C’è un accordo che risale al 1979 secondo il quale gli USA si impegnano ad aiutare Taiwan a difendersi da un’eventuale invasione. Se la Cina Popolare attaccasse, gli Stati Uniti cercherebbero di difendere l’isola. Teniamo conto che quando Biden ha voluto far “passare” al Congresso aiuti all’Ucraina, ha fatto un pacchetto unico nel quale sono compresi anche gli aiuti per Taiwan. Per gli statunitensi è uno dei principali problemi di difesa della democrazia ed è l’argomento primario di discussione con Xi Jinping: ogni volta che gli USA parlano con i cinesi di fentanyl o di dazi accanto a questi temi c’è pure il futuro della Repubblica di Cina-Taiwan.
L’isola rappresenta quanto di più avanzato c’è al mondo in termini tecnologici: un know how che viene utilizzato anche nel settore militare?
Taiwan realizza per quantità e qualità i migliori microchip del mondo e li utilizza anche nelle proprie produzioni militari. Un eccellente supporto tecnologico che vale anche per i Paesi amici: è una capacità importante per tutto l’Occidente e non solo. Se rallentasse la realizzazione di microchip ne risentirebbe la produzione mondiale di autovetture ed elettrodomestici, di televisori come di telefonini e moltissimo altro.
Se tutta questa tecnologia cadesse in mano ai cinesi saremmo completamente dipendenti da Pechino?
I macchinari più tecnologici del mondo non cadrebbero mai, intatti, in mano cinese. Anche l’ultimo ingegnere taiwanese è in grado di distruggerli e renderli in condizione di non produrre. Se la Cina Popolare attaccasse Taiwan quest’ultima farebbe in modo che Pechino non li possa sfruttare. A mio parere, non permetteranno mai a un invasore di prenderne possesso impunemente.
Dal punto di vista industriale Taiwan che piani ha? Continuerà a sviluppare la sua produzione di microchip anche all’estero come potrebbe fare anche in Italia?
C‘è un programma di collaborazione con i Paesi amici che vogliono produrre microchip sul loro territorio, ma è ostacolato dalla Cina Popolare: le nazioni che avranno il coraggio di superare le minacce di Pechino avranno questa possibilità.
(Paolo Rossetti)
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