È apparso in questi giorni il nuovo numero di LineaTempo, che contiene un dossier sull’Universo fiaba, ovvero un tema che è sia popolare, rivolto a tutti e in particolare ai bambini, sia oggetto di raffinate indagini storico-letterarie e filologiche, e che merita una breve serie di considerazioni.
Il dossier mostra le origini antiche della fiaba, nei suoi legami col mito, con la Bibbia e le tradizioni culturali, ma soprattutto indaga sugli interrogativi che la fiaba pone alla filosofia circa il rapporto fra verità e finzione, perché tutte le fiabe costituiscono una grande forma di introduzione alla realtà ed entrano nel vivo della vita affrontando i temi del senso del vivere e della felicità.
Per questo la fiaba non muore mai. Oggi la troviamo, mutata nel linguaggio e nella forma (e spesso deformata dalle mode culturali) in grandi film, fra cui quelli notissimi di casa Disney. Ha creato e propone personaggi che davvero appartengono al patrimonio identitario di ciascuno: pensiamo al Brutto Anatroccolo di Andersen o al famosissimo Pinocchio.
Tutta la vita è accompagnata dalla fiaba: dapprima la ascoltiamo da bambini, poi la raccontiamo da adulti ai nostri figli e poi ancora, da nonni, ne ripercorriamo la magia e meglio ne comprendiamo la verità.
Si tratta di un patrimonio di narrazioni dall’alto valore educativo e che quindi è diventato oggetto di particolare attenzione nel mondo della scuola. Alcuni insegnanti descrivono qui le loro iniziative in merito e il loro lavoro di scoperta della fiaba insieme ai giovanissimi allievi.
L’ampio spettro di contributi confluiti nel dossier vuole documentare, in modo certamente non esauriente, ma sicuramente convincente, il variegato e composito mondo che gira intorno alla fiaba e che si estende dalle cattedre dell’università ai bambini più piccoli che ancora non sanno leggere.
Ma come “accade” la fiaba? Che cosa la fa vivere? Chi ascolta o chi la racconta? Negli anni passati era facile vedere sulle copertine dei libri o nelle illustrazioni una vecchietta arzilla con gli occhiali, seduta su una sedia, che legge a un bambino accanto a lei, fermo e silenzioso. Perché il fascino del raccontare si lega a una nonna? Forse perché i genitori, presi dal lavoro, non hanno tempo da perdere, o forse perché la nonna è più saggia e sa, come dice Calvino, che le fiabe sono vere e raccontarle non è perdere tempo, ma un gesto d’amore che fornisce al piccolo un tesoro utile nella vita?
La fiaba apre un mondo altro in questo mondo, un mondo dove le cose si trasformano, dove il bene e il male si combattono con chiarezza, dove trovano risposta le domande fondamentali sul senso della vita, sulla giustizia, sulla morte, sul coraggio, sull’amore e l’amicizia ecc., le cose che un piccolo uomo vuole conoscere e capire. Ascoltarle o leggerle risponde dunque a un bisogno fondamentale del bambino.
È vero che oggi si possono ascoltare le storie anche attraverso i podcast, ma è la voce dell’adulto che veicola la fisicità di una presenza, che lascia trasparire l’emozione viva, che stabilisce il nesso fra la storia e quel bambino preciso. Il modo con cui si racconta è fondamentale, perché la voce veicola anche altro.
Nel suo libro Cose da maestri, Peter Bichsel sottolinea la decisività del modo con cui si parla ai giovani: l’entusiasmo, la consapevolezza della bellezza e della verità con cui si parla educa a una resistenza verso l’invasione delle ideologie, del consumismo e oggi della faciloneria dei cartoni televisivi.
“Io ho insegnato volentieri e credo che insegnare sia una professione che può avere un senso in ogni circostanza – quindi anche in ogni situazione politica. Quei pochi tedeschi che conosco che durante la guerra hanno intrapreso una qualunque forma di resistenza raccontano tutti di un insegnante che li ha spinti in quella direzione. Forse li ha spinti anche solo con il tono della voce, con il modo in cui pronunciava il suo Heil Hitler, o con l’entusiasmo con cui spiegava il latino o parlava di farfalle. Tuttavia i molti tedeschi che hanno collaborato hanno avuto degli insegnanti anche prima di Hitler, e che non lo votarono, e che nonostante questo hanno preparato i loro allievi per lui. Forse non l’avrebbero fatto se solo se ne fossero resi conto. E non alludo adesso neanche alla ‘lezione politica’, alludo all’entusiasmo per le farfalle e al tono di voce con cui si parla di farfalle”.
Una seconda componente essenziale perché una fiaba o comunque una storia “accada” è il rispetto per la libertà. La fiaba è un mondo aperto, ha bisogno di tempo per rivelare tutta la sua possibilità di significazione. L’insistenza per arrivare a un giudizio conclusivo può essere mortificante per il bambino (che a volte ha apprezzato aspetti diversissimi da quelli dell’adulto) e può danneggiare anche la fiaba, ricondotta a forza in un binario obbligato che sa un po’ di ideologia.
Il grande Isaac B. Singer, straordinario scrittore per bambini, scrive nel suo saggio I bambini sono i migliori critici letterari?: “Nella nostra epoca, in cui l’arte di raccontare storie è stata dimenticata e rimpiazzata dalla sociologia amatoriale e dalla psicologia d’accatto, il bambino è ancora un lettore indipendente che non si fida di altro che non sia il suo gusto. Nomi e autorità non significano niente per lui”.
La fiaba “accade” quando apriamo la nostra mente a guardare lo straordinario, il nuovo, ciò che credevamo impossibile. Come Alice nel Paese delle meraviglie, che esce da quella “prigione” e torna nel mondo arricchita da esperienze fantastiche che la rendono più capace di comprendere la realtà, così ciascuno di noi, attraverso il sogno della fiaba, si avvicina a cogliere l’aspetto di Mistero che pervade il mondo reale.
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