Gli italiani di oggi sono davvero gente strana. Nella prossimità del 25 aprile si accapigliano nella difesa o nell’accusa di scrittori e intellettuali e dimenticano la propria storia. Non quella lontana nel tempo o nello spazio, ma quella che è accaduta nelle proprie regioni e città. È molto probabile che l’ottantesimo anniversario della battaglia di Cassino passi sotto silenzio. O meglio: non verrà ricordato il sacrificio dei soldati alleati (polacchi, inglesi, canadesi, francesi, africani e americani) mentre verrà data molta maggior rilevanza alle “marocchinate” commesse dalle truppe coloniali francesi nel Lazio. Certamente è doveroso ricordare le migliaia e migliaia di vittime della furia bestiale dei vincitori, ma bisognerebbe chiedersi perché ignorare tutti gli altri. Così in previsione del solito oblìo, conseguente all’ennesima sterile polemica, chiedo al lettore di portarsi sul fronte di Cassino e di assistere alla quarta battaglia in quella zona: l’operazione Diadem (per una descrizione approfondita della battaglia rinvio a Il paradiso devastato, Ares, 2012).
Dopo tre battaglie che avevano dissanguato le forze alleate il generale Alexander si decise a organizzare una grande offensiva, richiamando dal fronte adriatico le truppe dell’VIII armata per scardinare le difese tedesche con, in più, il II corpo d’armata polacco.
Parlare dei polacchi nella campagna d’Italia non è mai facile, perché troppo si potrebbe e dovrebbe dire sul loro coraggio inesauribile, sulla loro combattività, sul loro essere gli ultimi eredi dei crociati, in una grande guerra santa contro il paganesimo nazista. Abbiamo visto come e quanto i soldati alleati sfidarono la morte e le intemperie più crude: in particolare, neozelandesi, gurkha, indiani, gli americani della 34esima divisione, i canadesi, i francesi dettero prova di eccezionale eroismo. I polacchi, però, erano un’altra cosa: migliaia di essi, liberati da Stalin, avevano attraversato l’Asia e l’Africa ed erano arrivati in Italia, decisi a scatenarsi non appena avessero avuta l’occasione. Anche per questo il generale polacco Władysław Anders aveva accettato che i suoi uomini venissero lanciati lungo montagne coperti da centinaia e centinaia di cadaveri: la prospettiva di conquistare l’abbazia avrebbe dimostrato al mondo la verità dell’inno nazionale polacco: “La Polonia non è ancora morta finché noi viviamo”. In prima fila, destinati allo sfondamento vi erano la III divisione “Cacciatori dei Carpazi” e la V divisione “Kresowa” e, a rinforzo, la II brigata corazzata.
Ancora più a sud il XIII corpo britannico aveva il compito di traversare il fiume Rapido e costituire una testa di ponte. Le sue due grandi unità, la IV divisione britannica e l’VIII indiana avrebbero attaccato a destra e a sinistra del villaggio di Sant’Angelo e il loro successo sarebbe stata sfruttato dai veterani della 78esima britannica, la “Battleaxe”, e dalla VIII divisione corazzata inglese. L’offensiva sarebbe stata alimentata dal corpo d’armata canadese con la sua I divisione di fanteria, veterana di Ortona, e dalla V divisione corazzata.
La V armata di Clark era stata destinata ad attaccare una zona non toccata dagli ultimi combattimenti. Il II corpo d’armata, composto da due nuove divisioni, l’85esima e l’88esima, era posto vicino al mare e sarebbe dovuta avanzare lungo la via Appia per ricongiungersi al VI corpo d’armata ad Anzio. Alla sua destra stavano i 98mila uomini del corpo di spedizione francese, aumentato da due a quattro divisioni. Oltre alla III algerina e alla II marocchina, Alphonse Juin avrebbe impiegato la IV divisione da montagna marocchina attraverso i monti Aurunci, mentre la I divisione meccanizzata francese si sarebbe mossa lungo la valle del Liri. Questo asse di avanzata non sembrò molto praticabile ad Alexander e Clark, ma Juin insistette, come aveva già fatto con la sua ipotesi di offensiva su Atina. Alla fine i generali alleati cedettero, considerando che il ruolo dei francesi sarebbe stato secondario e che un loro eventuale fallimento non avrebbe compromesso l’offensiva. Il ruolo decisivo, nei loro piani, sarebbe stato affidato alla sortita da Anzio del VI corpo e all’attacco dell’VIII armata a Cassino.
I preparativi dell’offensiva furono meticolosi e i tedeschi furono colti completamente di sorpresa. Nelle strade più esposte all’osservazione germanica furono eretti mascheramenti per più di due chilometri, gli spostamenti delle truppe vennero effettuati esclusivamente di notte e le piste vennero irrorate di acqua e petrolio per evitare che si alzasse la polvere al passaggio di uomini e mezzi. Sul fronte tenuto dai polacchi, le comunicazioni vennero effettuate solo da ufficiali britannici e non vennero eseguite sortite o pattuglie. Il fatto che si trattasse di un esercito multinazionale divenne un vantaggio per gli Alleati: le guardie gallesi comunicavano alla radio nel loro incomprensibile idioma e i tedeschi si convinsero di avere di fronte una divisione indiana.
Fu così che i comandanti tedeschi più importanti, da von Senger a Vietinghoff, si trovarono in vacanza (meritata) in Germania e non poterono coordinare la controffensiva nelle prime cruciali ore della battaglia. Alle 23 il segnale orario della Bbc diede inizio alla battaglia e 2mila cannoni fecero fuoco su tutto il fronte. Per dare un’idea dell’intensità del fuoco che si abbatté sulle posizioni tedesche, si pensi che, a El Alamein, i cannoni impiegati erano stati mille, su un fronte quasi equivalente per ampiezza. Obiettivi predesignati, come batterie, centri di comando, punti di raduno e depositi vennero colpiti spietatamente. Solo sul fronte della V armata vennero sparati 174mila colpi di artiglieria nelle prime 24 ore dell’operazione. L’effetto fu devastante e per tre quarti d’ora i tedeschi non eseguirono nessun fuoco di controbatteria.
Il II corpo americano fu quasi ovunque respinto con gravi perdite, ma il XIII corpo britannico, pur subendo perdite gravissime, riuscì ad attraversare il Rapido e i genieri canadesi costruirono tre ponti per la IV divisione e quattro per l’VIII divisione indiana. Tutto questo sotto il continuo fuoco nemico.
I tedeschi non seppero comprendere subito la pericolosità dell’avanzata indiana e impegnarono poche riserve. In tal modo il XIII corpo britannico potè operare una prima decisiva perforazione della linea difensiva il 13 maggio e la 78esima divisione passò sui ponti lanciandosi all’offensiva. Anche la IV divisione iniziò a fare progressi nonostante le incredibili difficoltà incontrate.
I polacchi si lanciarono all’attacco della Cresta del Serpente, di Masseria Albaneta e di Colle Sant’Angelo. Fu un massacro. Alle quattro di quel pomeriggio, sulle cime tanto contese restavano centinaia di soldati polacchi morti o morenti in mezzo ai papaveri e ai gigli selvatici. Lo stesso Anders restò profondamente sconfortato per la perdita di tanti uomini e il generale Leese lo trovò disfatto, gli occhi rossi e la barba lunga. Fu proprio Leese a promettere ad Anders che i suoi uomini avrebbero avuto un’altra occasione per conquistare Montecassino. Nel frattempo bisognava attendere e sperare che, in qualche altro settore del fronte, venisse operato uno sfondamento. Il loro sacrificio, però, oltre a logorare gravemente il già scarso organico dei difensori tedeschi, impegnò anche le poche riserve disponibili, permettendo così i successi degli inglesi e dei francesi più a sud.
(1 – continua)
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