“Io non so se arrivo a giugno sano di mente”. Questa è l’affermazione di un docente dopo l’ennesimo confronto sull’ennesima situazione complessa verificatasi in classe con l’ennesimo alunno che mette in atto comportamenti disfunzionali per sé e per gli altri. Potrei raccontarne decine di episodi e situazioni che quotidianamente ogni docente si ritrova a gestire. Vivere la scuola dall’interno, oggi, è davvero impegnativo. È sotto attacco da ogni punto di vista e i fronti sono molteplici. Non vuole essere un modo per renderla vittima, ma per accendere alcuni riflettori scomodi su tematiche che, se non vissute in prima persona, potrebbero non essere percepite, conosciute, fraintese o averne una visione legata a stereotipi oramai anacronistici.
Una premessa. È dal 2013, a livello giuridico, che ogni minore inizia ad essere una persona autonoma, con propri diritti e doveri, e la funzione genitoriale ha l’onere e l’onore di accompagnarlo verso il suo totale e pieno sviluppo. Si evince allora che il ruolo dei genitori è quello di educare e di vigilare sui figli, ovvero quello di esserci, di essere in grado di prevedere il rischio che può porre in essere il minore, ma anche di vagliare la condotta del figlio. Senza tralasciare tutta la parte di cura, di tenerezza e di benessere.
E se è vero che il minore è stato riconosciuto come un soggetto autonomo, anche lui è chiamato a rispondere dei propri atti in linea con la sua età (ad esempio può venire coinvolto durante il processo di separazione dei genitori). Tale premessa è necessaria per sottolineare come famiglia ed educazione del proprio figlio minore siano strettamente legati. Sembra assurdo affermare l’ovvio, ma oggi non lo è più.
Ripensando ai tantissimi fatti che quotidianamente accadono – alunni che picchiano altri alunni, danni a materiali comuni, richieste di attenzione come tagli sulle braccia, problemi alimentari, comportamenti pericolosi da contenere per salvaguardare chi li compie e chi li subisce – comincio con il chiedermi come questa realtà giuridica oggi incroci il mondo della scuola. Il triangolo alunno-famiglia-scuola oggi ha assunto equilibri totalmente diversi rispetto a un tempo e ciò manifesta una crisi di entrambe le agenzie educative.
Una prima pista di riflessione riguarda la consapevolezza dei genitori: quanto le famiglie sono consapevoli del proprio ruolo educativo? Fino a che punto, affidando un figlio alla scuola, ad esempio, l’istituzione è totalmente responsabile degli atti che compie un minore se essa stessa dimostra di aver messo in atto tutto ciò che le era possibile compiere per prevenire e salvaguardarlo da un punto di vista educativo, della sicurezza e del suo benessere? Quanto, invece, dipende da una mancanza di educazione da parte della famiglia nei confronti del figlio? E fino a che punto le famiglie sono disposte a dialogare con la scuola affinché si possa ricomporre un’alleanza educativa che giochi la propria partita su un dialogo efficace, collaborativo e vincente senza dover terminare le proprie battaglie in modo conflittuale con denunce o in un’aula di tribunale, dalla quale sicuramente una delle parti uscirebbe perdente?
La spada di Damocle delle accuse, dei ricorsi, delle mail minatorie da parte delle famiglie per ogni passo falso nei confronti dei figli, da dimostrare o percepito come tale, sono pane quotidiano per i docenti. L’agire educativo e didattico non può più prescindere dalla presa in carico di ogni possibile risvolto nell’affrontare le sfide educative che gli alunni e le loro famiglie ingaggiano più o meno consapevolmente.
Ancora. C’è confusione nei ruoli? Che ruolo ha la scuola e quale la famiglia? La scuola oggi come è percepita? Un ambiente di lavoro fornitore di servizi? Oppure è percepita come quel luogo verso cui le famiglie compiono un atto di fiducia e in cui si devono incontrare le due parti? Purtroppo, si è ancora lontani dal considerarla tale, o almeno, idealmente è così. Concretamente, invece, le famiglie non sempre compiono in modo consapevole tale attestazione di fiducia e spesso chiedono soltanto servizi. E quando le famiglie si fidano della scuola, lo fanno per ciò che rappresenta, perché hanno fiducia, appunto, nell’azione educativa e didattica dei docenti? Penso, ad esempio, agli open day in cui, come in una vetrina, si mettono in mostra laboratori, optional, comfort. Cosa una famiglia desidera dalla scuola oggi? Come vede realmente i docenti? Se non accade questo atto di fiducia, può un docente essere veramente libero di educare?
Terza pista. Cosa mina tale rapporto tra i soggetti educanti? Cosa ostacola questa visione, più lontana da quella di un mero luogo di lavoro e più vicina, invece, ad uno spazio di incontro e di crescita? Sicuramente un’aumentata mentalità conflittuale che ha pervaso l’intera società e che compromette la fiducia anche verso l’istituzione scolastica. Nello stesso tempo, le famiglie sono impaurite per il futuro dei propri figli e percepiscono la scuola come un’estensione della capacità protettiva della famiglia. I ragazzi si vorrebbe venissero preservati dalla sofferenza e dalle ingiustizie. Ma è impossibile che questo si realizzi, perché la vita accade e continua comunque.
È necessario recuperare un’azione educativa congiunta. Oggi la scuola è impaurita di fronte all’aggressività delle famiglie. Molte azioni educative, un tempo attuate in modo sistematico e, anzi, spesso incarnate solo dalla scuola, come l’accompagnare i ragazzi in uscita didattica, oggi diventano nei docenti motivo per indietreggiare, dovendo anche preservare la propria persona a livello professionale, umano, sociale e legale.
La mancanza di dialogo e di pazienza per capire cosa sia realmente successo crea distanza e sfiducia reciproca. Spesso i docenti si ritrovano soli di fronte alle sfide educative perché questo dialogo è assente o spesso viene addirittura evitato dalle famiglie stesse. Come recuperare questo spazio?
Inoltre, la delega da parte delle famiglie porta anche a un minore interesse e a una quasi assente partecipazione collettiva nell’ambito scolastico; meno presenza e coinvolgimento in termini di energie spese a favore della comunità scolastica, ricoprendo ruoli o promuovendo azioni congiunte con l’istituzione. Le famiglie sono specchi di una società che non partecipa più, che è presente, spesso, solo con modalità aggressive o per difendere i propri figli, ma che scompare nel momento in cui la si vorrebbe coinvolgere in modo attivo e collaborativo, e tale scomparsa è direttamente proporzionale all’età dei figli.
E ai nostri alunni che messaggio arriva da tutto ciò? Perché partecipare? Perché spendersi per qualcosa, per qualcuno? Perché candidarsi rappresentanti di classe alla secondaria? Perché candidarsi per la consulta provinciale? Come possono riconoscere ruoli, confini, responsabilità? Come possono anche imparare a riconoscere i propri sbagli, se incontrano adulti talmente preoccupati per loro da non permettergli di assumersi le loro colpe? Percepiscono di avere solo diritti o anche dei doveri? Come possono crescere se sanno di venire sempre “coperti” davanti ai loro sbagli? Vedono in noi adulti che sanno educare, consapevoli di chi siamo, del ruolo che abbiamo e capaci di agirlo?
Forse la via per ritrovare un dialogo educativo vincente, formativo ed efficace potrebbe essere quello di: riconsegnare, innanzitutto, ai genitori la bellezza della responsabilità del loro ruolo di educatori realmente attenti dei loro figli; ritornare a masticare la grammatica del dialogo, dell’incontro e della collaborazione, provando a considerare la scuola non come un mero fornitore di servizi ma come un luogo in cui attuare un atto di fiducia per un’azione educativa congiunta. Ciascuno rispettando la peculiarità del proprio ruolo. Ma soprattutto ricordando che al centro rimangono i nostri alunni, e provando a tenere come orizzonte comune il fatto che chi vuole solamente proteggere, non educa. Il coraggio di educare è quello di lasciarli affrontare, in un ambiente “protetto”, ciò che nella vita capita. E costruire man mano il loro valore.
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