I media hanno dato mercoledì scorso la notizia dell’annuncio dei primi ministri di Spagna, Irlanda e Norvegia, che riconosceranno lo Stato di Palestina, in contemporanea, domani 28 maggio. Israele ha fatto immediatamente seguire il richiamo dei propri ambasciatori nei tre Paesi e la convocazione al ministero degli Esteri di Gerusalemme di quelli dei Paesi riconoscenti, “per una dura reprimenda”.
Entro il mese di giugno potrebbe seguire il riconoscimento da parte della Slovenia, per il quale è in corso l’approvazione da parte del Parlamento. Fuori del continente europeo, anche il Canada si è dichiarato disponibile al riconoscimento. Il tutto in un clima surriscaldato dalla decisione del procuratore della Corte penale internazionale di chiedere l’arresto del premier israeliano Netanyahu, del suo ministro della Difesa Gallant e dei principali leader di Hamas per presunti “crimini di guerra e contro l’umanità”.
È dunque probabile, salvo ulteriori sviluppi, che entro fine mese, lo Stato di Palestina – da intendersi entro i confini del 1967, cioè prima della guerra dei Sei giorni e dell’occupazione di Cisgiordania, Gaza e Gerusalemme est da parte di Israele – avrà ottenuto 146 riconoscimenti internazionali, di cui 145 effettuati dai 193 membri delle Nazioni Unite, più quello della Santa Sede.
Per quanto concerne quest’ultima, occorre ricordare che, con grande lungimiranza, già l’11 febbraio 1948, cioè tre mesi prima della proclamazione dello Stato di Israele da parte di David Ben-Gurion, la Santa Sede aveva aperto una delegazione apostolica competente per Gerusalemme, la Palestina, la Transgiordania e Cipro. Il riconoscimento diplomatico risale, invece, al 25 ottobre 1994 e, al tempo, riguardò l’Organizzazione per la liberazione della Palestina (OLP). Fu fortemente voluto da Papa Giovanni Paolo II. In assoluta continuità, Papa Francesco decise, nel 2015, che le dette relazioni fossero elevate al rango di ambasciata, con il capo missione della Palestina come ambasciatore residente a Roma ed attribuendo, tramite accreditamento multiplo, la competenza su Gerusalemme e la Palestina al nunzio apostolico in Israele.
Con l’Irlanda e la Spagna, gli Stati membri dell’Unione Europea che riconoscono lo Stato di Palestina saliranno a 11. Si tratta, soprattutto, di Paesi dell’Europa centrale e orientale (Bulgaria, Romania, Slovacchia, Polonia, Repubblica Ceca e Ungheria), che la riconobbero nel 1988, prima della dissoluzione del Patto di Varsavia e della loro adesione all’UE: una sorta di reminiscenza del loro passato di appartenenti al blocco sovietico. Ci sono stati poi i riconoscimenti di Malta (peraltro non seguito da concrete relazioni diplomatiche) e di Cipro, intervenuti pure nel 1988, quindi prima dell’ingresso nell’UE. La Svezia, invece, ha riconosciuto la Palestina nel 2014, nove anni dopo l’adesione all’UE.
Quanto all’Italia, il ministro degli Esteri Antonio Tajani ha dichiarato ieri che “non può esserci riconoscimento della Palestina senza il riconoscimento reciproco tra Israele e lo Stato palestinese”. E ha aggiunto che bisogna “capire che cosa sia lo Stato palestinese, perché non possiamo riconoscere uno Stato a guida di Hamas”.
Ma le cose stanno realmente così? Come noto, l’Italia ha ospitato a Roma, fin dal 1974, una delegazione dell’OLP, il cui trattamento, come Autorità nazionale palestinese (istituita dagli accordi di Oslo del 20 agosto 1993 tra Israele e OLP), è stato elevato a quello di ambasciata nel maggio 2011. Lo prova incontrovertibilmente il fatto che l’attuale ambasciatrice, Abeer Hoder, il 25 ottobre 2019, ha presentato le lettere credenziali al presidente Mattarella. Inoltre, la missione palestinese, nella quale è incardinata anche una sezione consolare, figura nella Lista diplomatica italiana, la cui più recente versione è stata pubblicata dalla Farnesina il 7 marzo scorso.
All’evidenza, quindi, l’Italia riconosce lo Stato di Palestina, considerato che, secondo il diritto internazionale, l’accettazione delle lettere credenziali e la presentazione delle stesse al Capo dello Stato da sempre comporta implicito riconoscimento. Le relazioni Italia-Palestina, che si sostanziano in rapporti politici, economici, culturali e di cooperazione allo sviluppo, sono tuttavia asimmetriche, in quanto l’Italia non ha un proprio ambasciatore presso lo Stato di Palestina e le relazioni con le autorità palestinesi sono curate dal consolato generale a Gerusalemme, il cui titolare, a quanto risulta, non presenta lettere patenti per i territori palestinesi, ma procede soltanto, per motivi di cortesia, alla notifica di lettere di presentazione.
Peraltro, proprio per lo speciale carattere delle funzioni svolte, il console a Gerusalemme è l’unico console generale di prima classe ad essere invitato alla Conferenza delle ambasciatrici e degli ambasciatori, organizzata ogni anno dalla Farnesina. Il 10 maggio scorso, all’Assemblea generale delle Nazioni Unite, la risoluzione presentata dagli Emirati Arabi Uniti, a nome dei Paesi arabi, che riconosce la Palestina come qualificata per diventare membro a pieno titolo dell’ONU ed invita sia il Consiglio di sicurezza a riconsiderare favorevolmente la questione, sia gli Stati membri che non hanno ancora riconosciuto la Palestina a compiere questo passo importante e cruciale per sostenere i diritti del popolo palestinese, è stata approvata con 143 voti favorevoli (tra cui Francia e Spagna), 9 contrari (tra cui, oltre a Israele, Stati Uniti, Canada, Ungheria e Repubblica Ceca) e 25 astensioni (tra cui Italia, Germania, Regno Unito, Austria, Croazia, Finlandia, Lettonia, Lituania, Paesi Bassi, Romania, Svezia e Svizzera). La nostra astensione, tuttavia, può non essere considerata contraddittoria, come potrebbe a prima vista apparire, in presenza, per un verso, del detto riconoscimento implicito e, per altro verso, per aver votato favorevolmente, nel novembre 2012, alla risoluzione con la quale l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha riconosciuto alla Palestina lo status di Stato non membro osservatore.
In effetti, questa volta, la risoluzione dell’Assemblea generale aveva un valore esclusivamente simbolico. Invero, ai sensi dell’art. 4, par. 1 della Carta delle Nazioni Unite, l’ammissione di nuovi Stati nell’organizzazione presuppone che il Consiglio di sicurezza la proponga all’Assemblea generale e la relativa delibera, per essere validamente adottata, esige il voto favorevole di almeno 9 membri dell’organo, compresi tutti i membri permanenti. Ora, il 12 aprile scorso, la votazione in Consiglio di Sicurezza, pur avendo registrato 12 voti favorevoli, tra cui quelli di due Stati membri dell’UE (Francia e Slovenia) e l’astensione di altri 2 Stati (Regno Unito e Svizzera) è stata oggetto del veto degli Stati Uniti. Inoltre, l’astensione italiana in Assemblea generale poteva anche essere frutto di una giustificata prudenza, tenuto conto del fatto che l’Italia quest’anno presiede il G7 i cui componenti non riconoscono lo Stato di Palestina.
Ciò detto, stante il menzionato riconoscimento implicito dello Stato di Palestina, almeno dal 2015, qualora il Governo italiano avesse nel frattempo mutato d’avviso, la coerenza vorrebbe che il riconoscimento fosse revocato e che, conseguentemente, l’ambasciatrice della Palestina fosse dichiarata persona non grata. Certo, compiere un passo del genere alla vigilia della visita a Roma del primo ministro e ministro degli Esteri dello Stato di Palestina, Mohammad Mustafa, non sarebbe stato un buon viatico per gli incontri che sabato hanno impegnato il nostro ministro degli Esteri e il presidente del Consiglio.
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