Il faticoso anno scolastico ha messo in luce la difficoltà dei docenti nell’affrontare i grandi cambiamenti sociali in corso. Gli anni del nichilismo gaio, infatti, hanno prodotto famiglie deboli, cinquantenni giovanilisti, mancanza di punti fermi. Genitori sindacalisti, adolescenti fragili, giovani docenti con visioni culturali solamente disciplinari: espressioni evidenti di una perdita dei punti cardinali.
Di fronte alla grave crisi in atto, negli anni la preoccupata reazione ministeriale è stata quella di intraprendere una serie di azioni magari nobili e giuste, ma senza una visione d’insieme: educazione alla cittadinanza, orientamento, lotta alla dispersione, proposta di educazione alle relazioni. Le risposte nelle scuole, tante volte soverchiate dal carico continuo, sono state: raggiungimento delle ore previste senza un piano programmatico, impegno prassista nel fare iniziative adeguate, pacchetti di proposte interessanti, ma talvolta slegate dall’intenzione ministeriale.
La proliferazione di incombenze burocratiche, di richieste sempre più pressanti dalla società in crisi, dalle famiglie che navigano a vista e dai ragazzi che vogliono essere ascoltati è stata affrontata non in modo sistematico e complessivo, ma da coalizioni di volenterosi. Persone di idee diverse, spinte dalla comune passione educativa si sono messe insieme per stare di fronte alle diverse questioni. La loro azione trainante sul campo, nel cuore della vita scolastica, è stata caratterizzata da gratuità, impegno, spirito di servizio. Tuttavia, ha messo in luce delle criticità di tipo strutturale. Non è diventata, infatti, una progettualità capace di rispondere adeguatamente alle sfide. Vi sono state delle cause precise che non hanno favorito il cambiamento. Ebbene tali impedimenti vanno ormai rimossi.
Il retrogrado conservatorismo sindacale, ad esempio, ancora oggi impedisce e blocca la possibilità di carriere specifiche dei docenti. Esistono funzioni strumentali, ma non figure di sistema riconosciute a tutti i livelli. C’è dunque, nell’organigramma scolastico, una sorta di incomprensibile salto nel vuoto che separa la dirigenza dal collegio docenti. Non esiste, perciò, uno scheletro solido che tenga insieme con forza il corpo docenti, facendolo muovere con forza verso gli obiettivi da raggiungere. Le funzioni strumentali, infatti, sono incentivate attraverso il FIS (fondo integrativo di istituto) con una sorta di egualitarismo orwelliano al ribasso, perché talvolta le RSU CGIL chiedono di erogare parte dei fondi a pioggia anche per chi si è limitato al solo lavoro in classe. Lo spirito del mansionario e il minimalismo dei micro-diritti polverizzati soffocano, infine, l’impresa educativa di largo respiro.
Sempre il conservatorismo sindacale non valorizza il merito e la competenza dei docenti. L’appiattimento delle carriere è, infatti, parte del mediocre sistema costruito negli anni passati che ormai non regge più. I risultati scandalosi sono sotto gli occhi di tutti. Può capitare, infatti, di vedere nelle scuole italiane docenti di grande valore intellettuale con pubblicazioni su Dante, Leopardi o sulla fisica teorica equiparati a un docente che fa il suo lavoro in aula, limitandosi ai soli contenuti tracciati e previsti. La fascia di livello stipendiale, infatti, riguarda solo l’anzianità di servizio, non il merito. L’incredibile livellamento voluto dall’iniquo patto sindacato-ministero non incentiva, dunque, chi vuole fare ricerca nella sua disciplina o innovazione a livello didattico, per favorire le competenze degli studenti. Bisognerebbe avere il coraggio di rompere definitivamente con la contrattazione sindacale e passare alla costituzione dell’ordine degli insegnanti, chiedendo supporto ai grandi della cultura italiana e alle personalità impegnate nell’azione educativa e nella crescita dei giovani. Educazione e istruzione, infatti, o sono strategiche per l’Italia o sono parole senza vita per paghette da discutere in sede di contrattazione e concertazione.
Potrebbe, perciò, essere utile da parte del ministero dell’Istruzione individuare alcune figure di sistema da riconoscere a pieno titolo nell’organigramma, per fare funzionare meglio la scuola.
Sarebbe necessaria innanzitutto la figura del dirigente didattico da scorporare da quella del dirigente d’istituto. La figura del dirigente didattico è davvero importante per coordinare la qualità culturale della scuola e la proposta di contenuti formativi. Nella scuola, ormai, si parla troppo di tutto: è però difficile o raro vedere dei docenti discutere delle domande di Leopardi o del LHC. Ma la crescita spirituale e morale di uno studente dipende proprio dall’incontro con i grandi personaggi, con le opere d’arte indimenticabili, con le questioni eterne. È solo una pia illusione, perciò, ritenere che una scuola senza zaino, senza libri e senza voti possa formare persone alle sfide future. Chi desidera una scuola del genere pensa non a giovani dal giudizio critico, ma a futuri ologrammi asserviti al potere di turno.
Occorre, poi, un docente referente per l’integrazione degli alunni di origine non italiana, per promuovere un piano d’istituto effettivo. Si tratta di coordinare tutti gli sforzi dei docenti, di favorire gruppi di lavoro/incontro tra ragazzi delle diverse culture e di fornire mediazione culturale e conoscenza della Costituzione a famiglie non italiane frastornate da un modello culturale diverso da quello di partenza. Se non vogliamo ripercorrere gli errori del modello assimilazionista francese, messo in crisi dall’affaire du foulard e dai sobborghi in fiamme, dobbiamo muoverci subito.
Sarebbe, inoltre, utile vedere un docente la cui carriera consiste nel coordinamento dei docenti di sostegno. Molto spesso ricoprono tale incarico docenti non formati, i quali nelle scuole hanno punti di riferimento validi ma non stabili e non efficaci a tutto campo. Una carriera specifica ben retribuita sarebbe d’aiuto per la consulenza competente ai molti docenti che insegnano senza un titolo specifico. Potrebbe essere utile, inoltre, per aiutare i genitori dei ragazzi spesso angosciati da situazioni, talvolta, molto difficili.
La scuola dovrebbe poi valorizzare i docenti che continuano a studiare, pubblicare e aggiornarsi. I docenti di spessore rendono la scuola più forte, lasciando un segno indimenticabile negli studenti. Non basta, perciò, l’attuale bonus-paghetta per l’acquisto di libri ed eventi culturali.
Infine, non bisogna dimenticare la necessità di una figura di sistema addetta al rispetto del patto educativo. Molto spesso talune famiglie violano il patto sottoscritto con l’istituzione. Pensiamo al fenomeno diffuso delle numerose assenze strategiche coperte da genitori conniventi, al rifiuto e alla contestazione della valutazione ricevuta con proteste esagitate o al caso dei richiami disciplinari visti come un assalto alla propria libertà.
E, d’altro canto, di fronte al collasso educativo in atto si può chiedere, ad esempio, alle famiglie di frequentare corsi per genitori tenuti da maestri, psicologi, testimoni di vita? Si può dire che bisogna imparare l’arte di educare? Oppure il Partito radicale di massa si ribella per stare chiuso nel suo bunker, magari con il consenso dei libertari-nichilisti da woke?
Come si può notare le questioni sono davvero tante e urgenti: vanno guardate. Bisogna solo che il ministero dell’Istruzione diventi anche ministero del Merito. Che il sindacato maggioritario nella scuola capisca che i docenti non sono operai della conoscenza (anche se forse lo ha capito benissimo), ma persone appassionate alla vita che introducono gli adolescenti alla realtà.
È necessario, infine, che i docenti facciano un passo avanti di coscienza sull’importanza del loro lavoro. L’autoconsapevolezza fa la differenza.
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