Nel nostro Paese il lavoro è un diritto inviolabile, regolamentato dall’art.1 della Costituzione, “L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro”, eppure i dati Eurostat rispetto al tasso di occupazione sono drammaticamente registrati al 60%, e affliggono per la maggiore donne e Sud Italia. In un seminario, dal titolo “Verso una nuova visione del lavoro”, il professor Giorgio Vittadini, ordinario in Scienze statistiche presso l’Università Bicocca di Milano, delinea i tre pilastri delle cause-effetto di un mercato del lavoro sempre più precario e poco meritocratico.
Il mercato neoliberista ha inevitabilmente apportato degli spazi positivi, ma al più negativi. In primis, il progresso tecnologico ha accresciuto un modus operandi sicuramente più smart, innovativo, a tratti efficiente; basti pensare allo smart working che permette di lavorare in qualsiasi luogo, abbattendo i limiti fisici del posto di lavoro tradizionale.
Al contempo, l’uso sfrenato della tecnologia, l’impellente avanzarsi dell’Intelligenza Artificiale, implicherà la fine inevitabile di molti posti di lavoro e una notevole fetta di risorse umane ne rimarrà senza. Ciò comporterà una divisione sociale ancora più schiacciante, ovvero la retrocessione del reddito; le disuguaglianze saranno tra mercato del lavoro “ricco”, sempre più qualificato, d’eccellenza, che vanta esperienze formative e professionali di grande livello; per contrapporsi a un mercato “povero”, incerto, precario e poco stimolante.
Il secondo elemento, causa della decadenza del mercato del lavoro, è la “reazione del burnout”: i sistemi socioeconomici, gli effetti di una globalizzazione eccessiva, tutta tesa al guadagno, ci costringe a condurre una vita illusoria, caratterizzata da ambienti tossici, ritmi lavorativi massacranti, sempre in competizione rispetto l’altro. Non mancano, in materia di occupazione lavorativa, le discriminazioni legate al genere, aumenta il numero delle donne che lavorano in un regime part-time e quelle che sono costrette per colpa di un welfare poco meritocratico ad abbandonare il proprio lavoro dopo il primo figlio. Molti, troppi, sono i casi di cronaca, in cui le donne lavoratrici vengono indotte dai propri datori di lavoro a eclissare l’idea di lavoratrice-madre, perché andrebbe ad inficiare la qualità della propria carriera professionale.
Infine, la terza condizione del sistema capitalista che ha contribuito a rendere il mercato del lavoro deleterio è la svalutazione del lavoro manuale. La società odierna lo ha relegato in “basso”, in opposizione e in termini denigratori rispetto al lavoro intellettuale, sottraendo alle attività pratiche, il giusto riconoscimento, insieme alle gratificazioni materiali e psicologiche che possono generare in chi le pratica.
L’imprenditore François Michelin ha concentrato i suoi affari sul mantra “le persone sono delle risorse”: il lavoro ed il lavoratore vanno valorizzati, stimolati, e non intesi come meri organizzatori di ruoli.
Il Made in Italy è un marchio stimato che va maggiormente potenziato attraverso adeguati corsi-percorsi di apprendistato, gli istituti tecnici devono essere in grado di formare categorie di giovani lavoratori che abbiano le conoscenze tecniche adeguate per l’iniziazione del mestiere.
Soprattutto si ha bisogno di generare una classe giovanile motivata, che si approcci al proprio lavoro, qualunque esso sia, consapevole che abbia un effetto diretto sul bene comune e che sia prossima al servizio della collettività. Abbiamo bisogno di normative nazionali e comunitarie concrete, che tutelino la sicurezza del lavoratore e ne garantiscano la qualità della vita lavorativa. Senza un repentino cambiamento di paradigma, in cui il soggetto primo è il benessere del lavoratore per poi pensare all’eco-transizione, senza delle comunità pensanti che educhino all’importanza del merito, erediteremo classi generazionali demotivate, prive di cuore nel fare.
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