Meno male che Jens Stoltenberg c’è. Occorre aggiornare la nota canzoncina di Forza Italia. Perché occorre un pazzo, affinché i normali prendano atto della realtà. E il rinvio al vertice dei leader che si terrà in Puglia a giugno di ogni decisione operativa sull’utilizzo degli utili provenienti dai beni russi congelati sancito a G7 di Stresa parla chiaro.
Forse è meglio darsi una calmata. Forse la strategia del poliziotto buono e quello cattivo va resa più chiara ed efficace. O forse qualcuno comincia a sentire puzza di bruciato. Tanta. E nauseante. Perché Bloomberg ha reso noto che subito dopo l’appuntamento pugliese, Joe Biden non sarà presente al vertice per l’Ucraina organizzato in Svizzera. Un impegno molto più importante e stringente lo costringerà al ritorno in fretta e furia negli Usa. Una raccolta fondi in California organizzata da George Clooney e Julia Roberts per la sua campagna elettorale. Questo per fare capire a quale gioco si stia giocando.
Il numero uno della Nato auspica l’attivazione del potenziale detonatore di un’escalation del conflitto con la Russia, mentre il suo azionista di maggioranza mangia tartine con le star di Hollywood che lo sostengono. Forse a Stresa qualcuno ha fatto notare che il lancio di fiammiferi nei pressi di una pompa di benzina sia passatempo pericoloso. E Janet Yellen ha dovuto prenderne atto. D’altronde, persino la numero uno del Tesoro Usa ha la testa altrove. Esattamente, qui: domani cominciano i buybacks di titoli di Stato Usa più datati. Tradotto, una bella Operation Twist 2.0 per togliere dai bilanci delle banche la carta sovrana di Zio Sam ormai poco negoziabile.
Il riacquisto andrà avanti fino a luglio e ogni operazione avrà controvalore di 2 miliardi di dollari, 500 milioni dei quali in Tips, i bond indicizzati all’inflazione. Tradotto, un salvataggio bancario sotto mentite spoglie. L’ennesimo. E la riprova che la chiusura del fondo Btfp, l’11 marzo scorso, sia stata soltanto una photo-opportunity. La Discount Window non basta, il rischio che la crisi bancaria riesploda e faccia da miccia a quella del real estate commerciale è troppo alto. Il bond war ventennale per l’Ucraina garantito dai fondi congelati russi può attendere. Prima c’è da risolvere le rogne interne. E bere un Martini con Julia Roberts.
Ma c’è dell’altro. Di cui nessuno parla. Ma che mostra un timing decisamente poco casuale. Proprio ieri, sfruttando anche la chiusura di Wall Street per il Memorial Day, il Governo cinese ha ufficializzato il lancio della terza fase del cosiddetto Big Fund, ovvero il fondo sovrano per sostenere l’industria interna dei semiconduttori. Subito 47,5 miliardi di dollari. Pronta cassa. E questo nella giornata i cui SMIC segnava +7% a Hong Kong e +4% a Shanghai. E quell’acronimo sta per Semiconductor Manifacturing International Corporation, l’azienda leader cinese nel settore. Ovviamente, a controllo statale. La quale da venerdì scorso (dopo la pubblicazione dei dati trimestrali) è divenuta la terza produttrice al mondo di microchip. Davanti a lei – decisamente lontani a livello di quota di mercato – solo la taiwanese TSMC e la coreana Samsung. Senza investimenti del Big Fund. Ora si entra invece nella fase operativa della grande rincorsa.
Insomma, Pechino vuole eliminare del tutto e in tempi record la dipendenza del proprio ramo tech dai semiconduttori americani. Ora, il fatto che proprio venerdì scorso Nvidia abbia comunicato un taglio netto dei prezzi dei propri chip di alta gamma per il mercato cinese, al fine di competere con Huawei, cosa vi dice? Al netto di artifici contabili che hanno gonfiato le revenues e spinto il titolo Usa a solo -10% di market cap da Microsoft, cosa potrebbe accadere a una ditta che contabilizza come flusso di cassa vendite non ancora pagate dai clienti, se di colpo la Cina riducesse drasticamente (fino ad azzerarli) gli acquisti di GPU da Nvidia? Pechino sta forse telegrafando a Washington il fatto che la minaccia più volte paventata di colpire Wall Street dove fa più male, ora potrebbe tramutarsi in realtà? E non serve che il Big Fund divenga operativo, mica occorre attendere l’indipendenza sostanziale. Il mercato per antonomasia prezza i rischi e le opportunità in anticipo.
E se Pechino avesse nel suo arsenale di financial warfare l’ipotesi estrema di una cura Cisco per Nvidia, ovvero un tracollo devastante che nell’arco di un mese potrebbe vedere il titolo dell’AI precipitare sotto i 200 dollari per azione? Il fatto che in contemporanea Pechino abbia stanziato decine e decine d miliardi in un altro fondo statale per ricomprare e togliere dal mercato le case sfitte che bloccano il real estate, parla chiaro. Non a caso, Evergrande ieri è tornata alla negoziazione. E lo ha fatto con un rumors relativo all’interesse di un investitore anonimo per il 29% delle attività. Chi sarà? Esisterà davvero o si tratta di un gioco di scatole cinesi, intese come holding di Stato o banche controllate? Poco importa. Evergrande doveva fallire e trascinare con sé l’intero sistema cinese e il suo leverage sul real estate. Invece è Janet Yellen che si trova costretta a ricomprare Treasuries per evitare che le banche regionali Usa vengano del tutto travolte dai default dei Cmbs, i bond legati a mutui e affitti immobiliari a uso commerciale.
Attenzione a cosa sta accadendo sotto il pelo dell’acqua. Se persino La Repubblica nella sua edizione domenicale è stata costretta a dedicare a un articolo al sondaggio di LendingTree in base al quale per quasi l’80% degli americani andare al fast food è diventato un lusso e quindi la narrativa del soft landing appare l’ennesima panzana da stampa autorevole, forse qualcosa comincia davvero a far slittare gli equilibri.
Il ritorno a Washington a mani vuote di Janet Yellen sul fronte ucraino è un’ottima notizia. Ma le continue sparate di Jens Stoltenberg ci dicono che gli Usa non molleranno la presa. Il cerino di Kiev deve passare in mano europea. In fretta. E il fatto che una convertita parossistica all’atlantismo come la nostra Premier abbia sentito il bisogno di invitare alla cautela il numero uno della Nato, forse dovrebbe farci riflettere in vista del voto. Dietro al warmongering da Guerra Fredda 2.0, c’è un cambio di equilibri che rischia di travolgerci. Soprattutto noi italiani, così fessi da aver stracciato il Memorandum con la Cina nel giorno dello sbarco di Xi Jinping a Bruxelles. Pechino perdona, in nome dell’interesse. Ma non dimentica.
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