L’eterogenesi dei fini è il principio filosofico secondo il quale le azioni umane possono portare a fini diversi da quelli che sono perseguiti dal soggetto che compie l’azione; in particolare, ciò avverrebbe per il sommarsi delle conseguenze e degli effetti secondari dell’agire, che modificherebbero gli scopi originari, o farebbero nascere nuove motivazioni, di carattere non intenzionale. Come ben sappiamo, il tema della riforma delle pensioni è di quelli che non si fanno mancare nulla; neppure – come vedremo – l’eterogenesi dei fini.
Prendiamo il caso di Quota 100; e, insieme a esso, l’altra misura contenuta nel decreto n. 4 del 2019 – che di solito viene dimenticata – ovvero il blocco, fino a tutto il 2026, dei requisiti contributivi (42 anni e 10 mesi per gli uomini e un anno in meno per le donne) della pensione “ordinaria” di anzianità, a prescindere dall’età. Chi scrive ha criticato questi provvedimenti della riforma pensioni, per tanti motivi che ancora oggi ritengo che allora fossero giusti: aumentavano la spesa pensionistica a favore di un segmento di classe lavoratrice, soprattutto maschile e residente al Nord, che era entrato presto e in modo stabile e continuativo nel mercato del lavoro.
I dati dimostrano che le generazioni dei baby boomers, che hanno cominciato a lavorare presto e in modo stabile e continuativo, non sono stati legati a Quota 100, né tanto meno alle quote successive fino a Quota 103 corretta di cui all’ultima Legge di bilancio, perché hanno sempre potuto utilizzare il pensionamento anticipato ordinario ora con i requisiti bloccati. E sono stati in grado di farlo a un’età media effettiva (61/62 anni) inferiore a quella, ugualmente media ed effettiva, (64 anni) dei “quotacentisti”. Peraltro questa cuccagna è proseguita anche quando sono stati inaspriti i requisiti delle quote.
Se si guardano i dati si scopre che i pensionamenti in applicazione delle quote si riducono già a Quota 102 (legge di bilancio 2022) fino ad arrivare nelle previsioni della relazione tecnica per il 2024 ad alcune striminzite migliaia. Se invece si considera il numero complessivo dei pensionamenti di anzianità si ha la conferma che il canale del trattamento anticipato ordinario non ha mai smesso di funzionare. Considerando il solo Fondo pensioni lavoratori dipendenti si nota una certa stabilità del pensionamento anticipato, anche nel passaggio da Quota 100 a Quota 102: 126.272 pensioni nel 2020, 125.888 nel 2021 (quando scade la sperimentazione triennale di Quota 100). Nel 2022 sono state liquidati 121.471 trattamenti anticipati, 107.002 nel 2023, 30.896 nel primo trimestre del 2024 a fronte di 33.122 nel corrispondente periodo dell’anno precedente.
A questo punto si inserisce la vera novità intervenuta sulla riforma pensioni nella Legge di bilancio dell’anno in corso. Dal 1° gennaio 2025 viene anticipata di due anni la fine del blocco a 42 anni e 10 mesi per gli uomini e un anno in meno per le donne. Dovrebbe ripartire quindi – fino a una revisione comunque onerosa per questi anni difficili – l’incremento automatico dei requisiti anagrafici e contributivi rispetto all’incremento dell’attesa di vita. Pertanto “rebus sic stantibus” – si torna un po’ ammaccati – con 48 miliardi di risparmi sprecati a fronte degli 88 previsti – al regime della riforma pensioni della Fornero.
Si porrà nel dibattito la questione dell’effetto di uno “scalone” relativamente all’età pensionabile. La preoccupazione che ha portato all’adozione delle quote per garantire una transizione più soft. Ormai però si è raschiato il fondo del barile nel senso che le condizioni per Quota 103 revisionata per il 2024 sono tanto proibitive da rimanere inevase e inutilizzate. Ma per colmare l’eventuale scalone ci sono più alternative che buchi in un formaggio svizzero. Per esempio i c.d. quarantunisti che sono circa 25 mila l’anno. l’Ape sociale: 79.952 fino a tutto il 2022, 24.271 nel 2022. Le condizioni occupazionali, personali e familiari per accedervi sono le medesime richieste ai quarantunisti salvo per questi ultimi aver un anno di versamenti prima dei 19 anni. Un’altra differenza importante è che il caso di precoci è strutturale, mentre l’Ape sociale viene rinnovata anno per anno, come Opzione donna, che dopo le ultime modifiche si è fortemente ridimensionata a poche migliaia di unità. Ci sono poi maggiori tutele per i lavori disagiati e usuranti.
Non sarebbe male se – con l’aria che tira per il deficit di bilancio – la prossima Legge di bilancio si dimenticasse della riforma pensioni e il sistema tornasse in casa Fornero da cui fu cacciato in malo modo nel 2019.
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