Qualche appunto sulla soluzione a sorpresa della lunga crisi di governo in Olanda: sei mesi dopo l’affermazione dell’estrema destra alle elezioni politiche ma anche dieci giorni prima dell’eurovoto.
Candidato formale di una nuova maggioranza politica (imperniata sul PVV di Geert Wilders, sui liberali dell’ex Premier Mark Rutte, sul Partito degli agricoltori e sul centrista NSC) è una singolare figura tecnica: Dick Schoof, attuale Segretario generale del ministero della Giustizia e della Sicurezza.
Negli ultimi 36 anni Schoof è stato ininterrottamente un funzionario pubblico e non ha mai ricoperto incarichi politici. Nel suo curriculum spicca la direzione generale dei servizi d’intelligence, dove ha lavorato in precedenza come capo dell’antiterrorismo. Prima ancora aveva pilotato l’agenzia governativa per l’immigrazione e la naturalizzazione: struttura strategica in un Paese ex coloniale e politicamente sensibile per l’ascesa di Wilders, imperniata su una linea dura anti-immigratoria, in particolare anti-islamica.
Se il giuramento presso il Re e la fiducia parlamentare ufficializzeranno l’indicazione (si prevede entro giugno) sarà la prima volta che l’Olanda – Paese fondatore della Comunità europea nel 1957 – avrà a capo del Governo un tecnocrate. E sarà la prima volta – almeno nel nocciolo duro dell’Ue, in un cornice di radicata governance democratica – che alla guida di un Esecutivo nazionale viene chiamato un capo dei servizi di sicurezza. Prima di Wilders, Giorgia Meloni ha invece già portato la destra alla guida di un altro Paese firmatario del Trattato di Roma. Né in Francia, né in Germania è finora mai entrata nella stanza dei bottoni una forza politica paragonabile.
Schoof è in predicato di succedere a Rutte, uno dei più longevi premier dell’Aja, tuttora in pole position per la Segreteria generale della Nato. L’indicazione per la successione al norvegese Jens Stoltenberg (in proroga da oltre due anni) potrebbe emergere venerdì a Praga al summit informale dei ministri degli Esteri; maturare al G7 del 13-15 giugno in Italia ed essere formalizzata al summit annuale del Patto Atlantico, all’inizio di luglio a Washington. È probabile che la svolta nella crisi interna olandese sia stata accelerata – verso un esito fino a ieri imprevisto – dalla necessità di creare le migliori condizioni per la candidatura Rutte, sollevandolo dal ruolo di Premier in carica per gli affari correnti. Se la nomina andrà in porto, al vertice Nato tornerebbe un collaudato statista Ue. dopo dieci anni del non-Ue Stoltenberg.
Non sembra trascurabile neppure la scelta reciproca di Wilders e Rutte di formare a tutti i costi una coalizione in grado di governare un Paese centrale sia nell’Ue che nella Nato: associando lo strappo-Pvv con un evidente tratto di continuità rispetto allo stesso pPemier uscente (a lungo al centro di voci anche per una possibile ascesa a Bruxelles come Presidente della Commissione). Lo scambio politico fra i due leader – sdoganamento dell’estrema destra sovranista, ma con segnali di garanzia verso le grandi istituzioni-alleanze internazionali – è stato perfezionato con l’inedita chiamata di Schoof. Ed è a sua volta un segnale non da poco in un’Europa che fra una decina di giorni avrà un nuovo Parlamento e fra un mese o poco più un nuovo organigramma fra Strasburgo e Bruxelles.
In un contesto geopolitico sconvolto, l’appello alla coesione europea rilanciato non più tardi dell’altroieri da Emmanuel Macron e Olaf Scholz sembra passare in concreto attraverso l’allargamento dei vecchi perimetri politici e il ricorso a figure tecnocratiche di alto profilo, in grado di garantire il prevedibile riassetto dell’architettura istituzionale “occidentale”. In un caso tutt’altro che irrilevante, l’Olanda non ha potuto escludere ancora dal Governo una forza politica finora “antagonista”, divenuta la prima del Paese attraverso un voto democratico: nel quale ha invece riportato una sconfitta pesante il socialdemocratico Frans Timmermans, per dieci anni numero due della Commissione Ue con la responsabilità della transizione verde.
Un paio di annotazioni finali riguardano un confronto non così teorico del caso olandese odierno con casi italiani del passato recente. All’indomani del voto 2018, fu chiamato a palazzo Chigi Giuseppe Conte per arbitrare la maggioranza formata da M5S (vincitore delle elezioni con lo stesso risultato di PVV in Olanda) e la Lega. Conte – un giurista non parlamentare, mai eletto in precedenza – non era un tecnocrate. Lo era invece Carlo Cottarelli, che il presidente della Repubblica Sergio Mattarella aveva deciso di pre-incaricare come Premier tecnico dopo tre mesi di trattative fino ad allora senza esito fra i partiti.
A differenza di Schoof, Cottarelli era un tecnocrate economico, con un curriculum prevalentemente estero come funzionario del Fondo monetario internazionale. Un tecnocrate internazionale era anche Mario Draghi: Premier “in riserva della Repubblica” fra il 2021 e il 2022 dopo 8 anni alla guida della Banca centrale europea (ma in precedenza per cinque anni al vertice di Bankitalia e prima ancora per un decennio Firettore generale del Tesoro).
Fra alta tecnocrazia e politica si muove da anni, a Roma, Elisabetta Belloni: attuale capo del Dis, la struttura di coordinamento dei servizi di sicurezza interna ed esterna in capo alla presidenza del Consiglio. L’incarico – dato da Draghi e confermato da Giorgia Meloni – è largamente sovrapponibile a quello passato di Schoof come “spy chief”. Belloni è d’altronde “gemella” del candidato Premier olandese nel suo precedente incarico di Segretario generale del ministero degli Esteri: ricoperto dopo un’intera carriera all’interno della diplomazia italiana. E non ha certo sorpreso che l’alta burocrate sia stata – per un giorno, nel gennaio 2022 – candidata alla presidenza della Repubblica: fra l’impasse della candidatura Draghi e l’emergere della riconferma di Mattarella.
Alla base della sua centralità (alla fine anche politica) era – e forse resta – il ruolo di “ufficiale di collegamento” con le intelligence di Usa, Gran Bretagna, Francia e Germania e Nato nei lunghi mesi di incubazione dell’aggressione russa all’Ucraina. È facile pensare che – dopo due anni di guerra in Ucraina e otto mesi di crisi in Medio Oriente – il candidato Premier olandese stia offrendo lo stesso profilo a un Paese europeo che non rinuncia alla sua sovranità democratica ma in questa fase sente la necessità di una leadership affidabile, che Wilders non è ancora in grado di garantire: almeno rivestendo personalmente l’uniforme del Premier.
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