Giovedì si terrà la riunione del Consiglio direttivo della Bce che dovrebbe varare il primo taglio dei tassi di interesse due anni dopo l’inizio della stretta. A sentire le recenti dichiarazioni degli esponenti dell’Eurotower ancora non ci sono certezze sulle scelte da prendere da luglio in poi, anche perché i dati non sembrano trasmettere indicazioni univoche: per esempio, nel primo trimestre dell’anno i salari sono tornati a crescere dopo il lieve calo registrato nei tre mesi precedenti. Come spiega Luigi Campiglio, Professore di Politica economica all’Università Cattolica di Milano, «si tratta di dati dietro cui, come nel caso dell’indice generale dei prezzi, c’è una situazione eterogenea. Penso che alla Bce ci sia una certa attenzione a evitare di veder sparire i risultati conseguiti».
In cosa si concretizzerà questa attenzione?
Si continuerà ad analizzare con grande cura il dato sull’inflazione e a tenere alta la guardia sulla possibilità di ulteriori shock dal lato dei prezzi delle materie prime, che dipendono sia dalla dinamica della domanda europea che da fattori esogeni vista la situazione geopolitica contingente. Avendo raggiunto un certo grado di successo dal punto di vista della dinamica inflazionistica, tranne che nel settore dei servizi dove resta a livelli elevati, ci sarà un’attenzione molto forte a cercare di continuare a tenere salda la presa su una stabilizzazione del livello dei prezzi.
A suo giudizio di quanto saranno ridotti i tassi giovedì? E cosa accadrà nelle successive riunioni del Consiglio direttivo della Bce?
Credo che giovedì il taglio sarà di mezzo punto. Stando alle dichiarazioni dei suoi esponenti, per come si sta ragionando in questa fase all’interno della Bce ritengo che a luglio i tassi resteranno invariati, poi a settembre si vedrà, in base ai nuovi dati disponibili, specie sull’inflazione dei servizi, se lasciarli ancora fermi o procedere a un’altra riduzione.
Prima citava la possibilità di shock sui prezzi delle materie prime che potrebbero influire negativamente sui livelli dell’inflazione. Quanto può contare in questo senso il tasso di cambio, visto che tagliare i tassi implica una svalutazione dell’euro?
Il tasso di cambio conta, ma rispetto al recente passato è più difficile capire quanto la sola mossa sui tassi della Bce possa incidere sulla quotazione dell’euro rispetto alle altre valute, visti i contemporanei possibili movimenti delle altre principali Banche centrali. In particolare, credo che per la Bce sarà importante anche valutare le mosse della Fed.
Se, come ha detto poc’anzi, giovedì i tassi venissero portati al 4% dall’attuale 4,5%, quale potrebbe essere l’impatto su un Paese come l’Italia dove l’inflazione in questo momento è addirittura inferiore all’1%?
Come dicevo all’inizio, dietro a un’inflazione per l’Eurozona pari al 2,4% ad aprile c’è una situazione molto eterogenea, visto che in Francia e Germania l’indice dei prezzi era superiore al 2% mentre in Italia addirittura sotto l’1%. Tornando alla sua domanda, un livello dei tassi di interesse al 4% per il nostro Paese sarebbe una buona notizia per i rentier, ma rappresenterebbe un non trascurabile onere. Non tanto e non solo per il costo del rifinanziamento del debito pubblico, visto che l’attività economica potrebbe inevitabilmente essere frenata. Diversi settori dell’industria, infatti, stanno soffrendo e c’è, quindi, il rischio di sciupare quel che di positivo finora c’è stato sul fronte della crescita.
Per il Centro studi di Confindustria, in effetti l’industria sta rallentando, ma fortunatamente il turismo continua ad andare bene…
Il turismo è importante, ma se rafforza l’esistente, anche perché rispecchia la capacità di risparmio e di spesa dei cittadini. A meno di non voler immaginare che l’economia del Paese debba basarsi solo sui flussi di viaggiatori stranieri. Il turismo è un settore chiave anche perché potrebbe essere un punto di partenza per dare respiro a progetti industriali, ma come Paese abbiamo anzitutto la necessità di rivitalizzare il settore industriale. Abbiamo bisogno di rafforzarlo in termini di capitale, di occupazione, di remunerazione.
Come si potrebbe farlo in questo frangente, tenendo conto anche dei limiti del bilancio pubblico?
In questo momento quello che può aiutare l’industria probabilmente non è tanto la domanda interna, ma l’export. E qui diventa importante la questione del tasso di cambio. Credo che se l’economia italiana si fermasse non sarebbe un buon presagio per l’Europa, nonostante venga talvolta considerata l’ultima ruota del carro. Per il nostro Paese sarà poi importante riuscire a mettere a terra gli investimenti legati al Pnrr così da evitare gli “zero virgola” e centrare il +1% di crescita del Pil previsto dal Governo.
(Lorenzo Torrisi)
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