PARLA L’ARCIVESCOVO PAGLIA SUL “CASO FROCIAGGINE”: “TONI POCO IDONEI MA PAPA FRANCESCO SI È SCUSATO”
Appena 24 ore dopo la posizione ufficiale data dal Vaticano in merito al “caso mediatico” per la frase di Papa Francesco legata ai seminari cattolici («c’è già troppa frociaggine […] non vanno ammessi gli omosessuali nei seminari») tra i pochi vescovi italiani a parlare è monsignor Vincenzo Paglia, presente alla famosa riunione di lunedì 20 maggio all’interno della Assemblea Generale CEI. È in quell’occasione, a porte chiuse, che altri vescovi hanno “spifferato” ai media delle frasi controverse pronunciate dal Santo Padre: secondo l’arcivescovo, già responsabile della Pontificia Accademia della Vita, il linguaggio usato da Papa Francesco è stato «poco idoneo per affrontare un tema complesso» come l’omosessualità dei seminaristi.
Detto ciò, ad una dichiarazione resa non con l’intento di offendere ma con la superficialità quantomeno palese nella scelta del termine, secondo Paglia ciò che è fondamentale è il coraggio di chiedere scusa a livello pubblico: «Non succede spesso, scusarsi pubblicamente, ma Francesco lo fa». Lo spiega l’arcivescovo presente all’Assemblea CEI nella lunga intervista a “Libero Quotidiano”, l’indomani della nota di scuse presentata da Papa Francesco dopo gli “spifferi” buttati in pasto ai media di alcuni prelati: se da un lato il magistero di Bergoglio racconta di un’apertura completa a tutto e tutti, con l’invito costante per una Chiesa che non discrimini nessun figlio di Dio (tanto da arrivare a concedere, non senza polemiche, la benedizione per le unioni di coppie omosessuali), «Altro conto sono i candidati al sacerdozio, uomini che debbono mostrarsi maturi e forti nel costruire relazioni sane e profonde con tutti, nel rispetto del celibato».
SEMINARI E GAY, IL NODO RESTA PER LA CHIESA: “ECCO PERCHÈ È DIFFICILE CON UNA TENDENZA OMOSESSUALE SPICCATA”
Al netto delle polemiche mediatiche o delle presunte gaffe, il tema chiave ribadito da Papa Francesco ai vescovi della Chiesa italiana è la conferma di quanto già sancito da Benedetto XVI nel 2015: come ricorda ancora mons. Paglia, va posta attenzione per il rischio che una «spiccata tendenza omosessuale non possa essere di inciampo per uomini chiamati a vivere con altri uomini nei seminari e trasformarsi in aperta pratica omosessuale». Il Santo Padre non ha fatto altro che confermare il suo gesuitico invito al discernimento, sebbene con un tono e un linguaggio che con “frociaggine” ha di fatto sviato il punto della discussione: come sottolinea ancora l’arcivescovo, l’accesso di persone omosessuali ai seminari resta un problema non da poco per la Chiesa Cattolica, non per la discriminazione dell’orientamento sessuale ma proprio per le conseguenze.
Il Vaticano in questo è molto netto e chiede per il rispetto del celibato dei preti (tema tra l’altro già al centro di forti dissidi interni con l’area più progressista della Chiesa, ad esempio il Sinodo tedesco) «continenza e castità piena», rileva ancora a “Libero” l’arcivescovo Paglia. La Chiesa non chiude affatto l’ingresso nei seminari e l’ordinazione sacerdotale per i preti gay, l’importante – e vale anche per gli eterosessuali – che vi siano castità e continenza costanti: l’apprensione del Papa, come per molti altri vescovi come Paglia, è che la scelta del sacerdozio non sia una via di fuga, «un riparo, che permetta solo un’apparente soluzione al problema e una forma di vita socialmente accettabile e riconosciuta». Il sacerdozio è una vocazione, non un ripiego o una fuga: «ciò che è richiesto a chi si scopre omosessuale è basato sugli stessi criteri che valgono per chiunque viva il sacerdozio ordinato», conclude mons. Vincenzo Paglia.