L’attesa è grande e le parole di Fabio Panetta nelle sue prime “considerazioni finali” lette venerdì scorso a palazzo Koch, fanno ben sperare. Giovedì si riunisce la Banca centrale europea e dovrebbe finalmente decidere una riduzione dei tassi d’interesse. Così ne parla il governatore della Banca d’Italia: “Per i prossimi mesi, se i dati risulteranno coerenti con le attuali previsioni, si profila una allentamento delle condizioni monetarie” grazie a una “riduzione eccezionale per dimensione e rapidità” dell’inflazione (compresa la componente di fondo che esclude dall’indice energia e generi alimentari freschi). “Ora dobbiamo però evitare che la politica monetaria diventi eccessivamente restrittiva”. Il governatore ha ricordato che, nonostante una riduzione prevista di 60 punti base (0,6%) durante quest’anno, i rendimenti reali restano superiori “a qualsiasi stima plausibile del tasso d’interesse naturale” cioè compatibile con la crescita e la stabilità.
Di più non ha detto e non può dire alla vigilia del Consiglio della banca centrale, ma Panetta non ha mai nascosto di spingere per un allentamento, anche quando i falchi erano in maggioranza. La prudenza in ogni caso dipende anche da alcune circostanze oggettive. C’è ad esempio un certo rimbalzo dei salari e dei prezzi in Germania, non è preoccupante, forse si tratta solo di un colpo di coda, tuttavia potrebbe ridar fiato alla Bundesbank che guida il fronte della cautela.
I mercati si attendono una riduzione e se l’aspettano anche i Governi, compreso quello tedesco alle prese con una stagnazione economica che alimenta lo scontento politico e sociale. Oggi sembra che il dilemma sia tra una riduzione di un quarto o di mezzo punto percentuale. Il primo sarebbe simbolico visto quel che ha detto Panetta sul costo reale del denaro, anche se aprirebbe la porta a un allentamento delle redini. Mezzo punto in meno verrebbe interpretato come l’inizio di una linea tutta da confermare in autunno, ma comunque una svolta.
Per l’Italia è fondamentale che l’inversione di tendenza cominci prima che si apra la trattativa con Bruxelles sui conti pubblici e, molto probabilmente, sulla procedura d’infrazione. Panetta ha ricordato che il nuovo Patto di stabilità si concentra “sulla sostenibilità di medio termine del debito pubblico, anziché sulla calibrazione precisa e continua della politica di bilancio; ciò dovrebbe consentire una programmazione più di lungo periodo e percorsi di consolidamento fiscale realistici”. Il governatore non ha nascosto la sua delusione per una riforma che “non ha segnato particolari progressi in direzione di un bilancio comune e un mercato dei capitali integrato”. Ma tant’è, bisognerà far buon viso a cattivo gioco, tenendo conto che l’Italia parte comunque da un debito pubblico pari al 137% del Pil e che la probabile procedura è per un deficit che ha superato il 7% del Pil.
“Affrontare il problema del debito – ha detto il governatore della Banca d’Italia – richiede un piano credibile volto a stimolare la crescita e la produttività e nel contempo realizzare un graduale e costante miglioramento dei conti pubblici”. A questo fine “sono necessarie scelte attente soprattutto dal lato della spesa, al fine di riorientarne la composizione in favore dello sviluppo e di eliminare le inefficienze”. E poi la stoccata con una frase lapidaria: “Potremo liberarci del fardello del debito soltanto coniugando prudenza fiscale e crescita”. Forse non ha detto molto, ma Panetta ha detto l’essenziale.
Crescita e produttività, questi sono i due crucci fondamentali per la Banca d’Italia. È vero che negli ultimi quattro anni, cioè a partire dal 2019 l’Italia è andata meglio degli altri Paesi europei, ma partiamo da un ventennio di stagnazione che ha schiacciato i redditi pro capite e sulla scena internazionale “le prospettive a breve termine rimangono deboli. Nel 2024 il prodotto mondiale crescerebbe del 3 per cento sensibilmente al di sotto della media dei primi vent’anni di questo secolo”, ha detto il governatore. Ciò è ancor più preoccupante per l’Italia perché il miglioramento degli ultimi anni è stato trainato da un vero e proprio boom delle esportazioni, oltre che dagli investimenti incentivati (come Industria 4.0) e da “agevolazioni generosissime” all’edilizia. Panetta ha liquidato così il Superbonus senza nominarlo.
Un aumento della produttività non solo è la via maestra per rilanciare l’economia, ma è la condizione per aumentare i salari che sono cresciuti di più in Germania e Francia là dove la produttività è maggiore. Il cuore della politica economica, dunque, è sostenere la riconversione tecnologica dell’industria, accompagnare la transizione anche nei servizi con particolare attenzione all’impatto dell’intelligenza artificiale, mettere in campo politiche che favoriscano l’innovazione ammortizzandone l’impatto sociale.
È questa l’agenda Panetta, un programma di lunga lena. L’appuntamento per sapere se e quanto è stato recepito dal Governo è vicino, tra poco più di una settimana, chiuse le elezioni europee, passata la sbornia demagogica.
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