Nel film L’esorcismo – Ultimo atto, Anthony Miller (Russell Crowe) è un uomo in grande difficoltà. Dopo aver perso la moglie e semi abbandonato la figlia adolescente, ha perso se stesso, abbandonandosi alla disperazione, all’alcol e alle droghe che hanno segnato inevitabilmente la sua carriera di attore e la sua stessa reputazione. Un giorno, però, Anthony ha l’occasione di interpretare nuovamente il ruolo di protagonista in un film di esorcismo, dove dovrà vestire i panni di un prete. Afflitto dai sensi di colpa nei confronti della figlia, dalla paura di non farcela nel ritrovato ruolo di attore e dalle inquietudini di una depressione non proprio superata, affronterà il set mostrando una debolezza così inerme che lo renderà facile preda del Diavolo, in cerca di casa.
Sono altri cinque, più una serie, i film che ruotano attorno al romanzo di William Peter Blatty, sceneggiatore del film del 1973. Un film terrificante, disturbante e innovativo, girato nel glorioso decennio della nuova Hollywood. Un film iconico che ha influenzato i maestri del genere, lasciando un segno indelebile nella cinematografia mondiale, Asia inclusa. L’esorcismo dunque è il settimo, se escludiamo parodie, citazioni e film più o meno scopiazzati che poco si allontanano dall’originale se non per facce, ambientazioni e qualità.
L’idea di fondo di questo ultimo atto è vagamente originale: siamo infatti sul set di un non meglio identificato film della serie, dietro le quinte di una produzione immaginaria che sembra presentare qualche imprevista difficoltà, come la morte del protagonista. A sostituirlo, per la gioia del pubblico in sala, c’è Russel Crowe, nome di gran richiamo, dal Gladiatore in poi. Carriera da grido, nonostante l’impressione che non sia stata accompagnata da una selezione di progetti tra le più “esigenti” del circuito, a parere di chi scrive.
In ogni caso, di nuovo sul set del film L’esorcismo – Ultimo atto, Crowe si misura con l’horror e i suoi incubi. Nel film del film è Antony Miller, il prete incaricato di estirpare l’esuberante demonio di questa storia. Il suo cognome è lo stesso del regista, Joshua John Miller, figlio dell’interprete del primo e originale esorcista, Jason Miller alias padre Karras. Carramba.
La passione con cui il figlio regista reinterpreta l’originale non basta a confezionare un film di merito. Una storia, a prima vista interessante, si inerpica nei meandri della psiche di un uomo disperato e depresso, che cerca riscatto in un nuovo film, dopo aver visto il buio. L’arte dell’immedesimazione attoriale lo porta però a condividere gli incubi del personaggio fino a ospitare comodamente il demonio e tutte le sue debordanti reincarnazioni.
Un dramma familiare e psicologico, che scava tra gli scheletri umani, e sorprende per ambizione e consapevolezza, ma che, a un certo punto, devia inevitabilmente nell’horror, per soddisfare quel pubblico che riassume nel titolo le aspettative di sempre. Troppo poco per essere credibile nel suo viaggio umano e familiare di papà Miller, ma troppo poco anche per essere interessante, originale ed emozionante nell’incubo sovrumano di padre Miller.
Per osare un altro esorcista credo serva qualcosa di davvero nuovo, senza gli eccessi verbali da copione, gli insulti gutturali dei posseduti, le vene nere in rilievo del corpo che cede al male o il fuoco che brucia l’umanità prigioniera. Ovvero una copia della copia della copia della copia e via andare.
Il male, nella sua realtà, fa certamente più paura di questa sua banalotta rappresentazione.
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