Caro direttore,
pochi giorni fa in Senato si è tenuto un interessante convegno dal titolo: Ripartire dall’Europa, ripensare l’Unione e l’intervento dell’onorevole Mantovano è stato certamente uno di quelli che hanno maggiormente colpito i partecipanti. “A prescindere dalla religione di riferimento, e perfino per un ateo, è certo che senza la radice cristiana, che ha inverato e vivificato le radici greca e romana, l’Europa sarebbe rimasta una penisola occidentale del grande continente asiatico: tale è geograficamente”. Ancora una volta emerge con forza l’esigenza di ripensare l’Europa alla luce di quella cultura cristiana che per secoli ne ha animato la vita culturale, sociale, istituzionale. Ha detto ancora Mantovano: “Se l’Europa è qualificata come continente è esclusivamente per ragioni storiche e culturali: è perché sulle terre che avevano visto espandersi e rovinare gli imperi greci e romani hanno arato e seminato in tanti, da san Benedetto in poi, i quali hanno fatto crescere i contadi e le città, e in esse le università, i luoghi di cura, le cattedrali, e poi le strutture politiche e gli ordinamenti giuridici”.
Un incipit particolarmente efficace per ripensare al ruolo dei cattolici nel futuro Parlamento europeo, dal momento che mancano solo tre settimane al voto. Dobbiamo chiederci quali sono i candidati che più e meglio possono rappresentare questi valori in un contesto politico che sembra non solo allontanarsi dalla tradizione cristiana, ma in alcuni casi fare anche di peggio, assumendo posizioni decisamente contrarie. Non sorprende affatto che, spulciando tra le liste dei candidati collocati nei vari partiti dell’area di sinistra, si confermi un approccio ideologico, in cui la tutela dei diritti individuali è la bussola che orienta ogni altra riflessione.
Ciò che sorprende è che questi stessi candidati siano esplicitamente sostenuti da una Chiesa che nella valutazione di persone e programmi non dia più peso a prese di posizione a favore della vita e della famiglia, mentre fa sue, ad esempio, le tematiche pacifiste ed ambientaliste. Nelle posizioni espresse dall’area del centrodestra i temi legati alla tutela della vita e della famiglia occupano una posizione decisamente più rilevante, ma sembrano trattati come slogan usurati. Hanno perso, almeno in parte, la loro forza coesiva, mentre crescono sempre più le accuse striscianti di antieuropeismo, che rendono più vulnerabili le posizioni elettorali di chi se ne fa carico.
Eppure, la fragilità demografica non è un problema solo italiano, nonostante l’Italia sia il fanalino di coda; la crisi della famiglia che rende le persone meno disponibili alla relazione di cura e di inclusione intergenerazionale è un dramma di dimensioni europee, che avalla spesso il ricorso all’eutanasia, considerata più come risposta alla solitudine che non al dolore. Ma nonostante la rinnovata ed incisiva catechesi di Papa Francesco su questi temi, sembra proprio che questi valori appaiano scontati o peggio ancora irrecuperabili, mentre si cavalcano le grandi battaglie ambientaliste e pacifiste. Diceva ancora l’onorevole Alfredo Mantovano, intervenendo al convegno Ripartire dall’Europa e ripensare l’Unione: “Si tratta di un iter concretamente praticabile, purché si vinca il paradosso, che ha preso piede da anni, anzi da decenni. Occorre modificare l’approccio di un’Europa che punta a rendere tutto eguale, da Stoccolma a La Valletta, dalle dimensioni degli ortaggi alle realizzazioni del PNRR, ma poi rifiuta il solo elemento che realmente identifica e unisce l’Europa. Irrigidiscono elementi di dettaglio e rendono fluido quello che invece esige compattezza e decisione… Ripartire dall’Europa significa allora tornare alle radici”. E il ritorno alle radici non può che sottendere il termine giudeo-cristiane. Ma oggi è la stessa Europa a remare contro le sue radici, quando chiede e pretende il riconoscimento dell’aborto come diritto, quando difende l’utero in affitto come cultura del desiderio di maternità, e l’eutanasia come espressione di pietà verso chi soffre.
Le prossime elezioni europee oggi si presentano attraverso la proposta di molti partiti, prevalentemente a sinistra, come il punto di non ritorno davanti a valori assolutamente strutturali della sua identità. Ma l’art. 5 del Trattato sull’Unione Europea afferma che “l’Unione agisce esclusivamente nei limiti delle competenze che le sono attribuite dagli Stati membri nei trattati per realizzare gli obiettivi da questi stabiliti. Qualsiasi competenza non attribuita all’Unione nei trattati appartiene agli Stati membri”. Eppure, non sono pochi gli esponenti politici che, pur dichiarandosi cattolici e ostentando attestati di accreditamento di alto rango in sede ecclesiale, forzano questa interpretazione e creano le condizioni per uno smantellamento sistematico delle famose radici, a favore di un individualismo egocentrico che di cristiano non ha proprio nulla. I diritti individuali, così di moda nella cultura del pensiero unico, non offrono nessuna sponda a quella esigenza di solidarietà, che nella visione cristiana della vita si chiama carità. Piacciono però ad una certa Chiesa che nel timore di apparire fuori tempo cerca di corrispondere al mainstream “europeisticamente corretto”, sostenendo candidati che mentre accusano i potenziali colleghi di sovranismo, si muovono fuori dagli ambiti di competenza attribuiti all’Unione, e perfino contro i principi fondamentali di una cultura cattolica elaborata nei secoli. Questo si che è un mistero, che pone una domanda ineludibile: Cui prodest? a chi giova sostenere chi in realtà ha da tempo intrapreso una lunga battaglia contro i propri valori? Un vero e proprio caso di suicidio assistito contro la propria identità e le proprie radici.
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