Sono sincero: mai come oggi vorrei essere uno studente di Economia al primo anno. Una matricola. Primo, perché avrei di nuovo 18 anni. Secondo, perché potrei godermi l’impagabile spettacolo dell’espressione del mio professore, quando si trovasse costretto a spiegarmi come mai la Bce abbia tagliato i tassi di un quarto di punto. E, contestualmente, alzato le stime inflazionistiche. Sarebbe bellissimo. Ma si sa, qui tutti festeggiano. Si inventano trenini tipo Capodanno per i mutui che vedranno le rate calare come per magia. Ci credete davvero? In compenso, chiedete al Mef quanto sia tranquillo rispetto all’appeal dei nostri Btp negoziabili, il mitologico outstanding in cerca di acquirenti diversi dal poco soddisfatto Signor Rossi. Non a caso, la Bce ha dovuto gettare la maschera. Ex ante.
Perché sia nel comunicato, sia nel corso della conferenza stampa di Christine Lagarde, il messaggio è stato chiaro e univoco: questo è un taglio una tantum, scordatevi altri interventi nel 2024. Non a caso, abbiamo alzato le stime sull’inflazione. Cosa vi dicevo, pochi giorni fa? Esattamente come la Bank of Japan a marzo ha dato vita a un suicida rialzo dei tassi dopo un decennio di Qe onnivoro e controllo sulla curva dei rendimenti solo per far respirare Wall Street, così – in direzione inversa – la Bce ha tagliato i tassi del minimo sindacale. Quando le condizioni macro e la famosa data-dependency avrebbero suggerito di stare fermi. O, al massimo, addirittura alzare di 25 punti base. Ma qui siamo ai vasi comunicanti del monetarismo.
Ad esempio, la svendita di pesos messicani dopo l’elezione della prima donna chiamata a guidare il Paese non va letta come atto di sfiducia. Ipotesi quest’ultima tutt’altro che peregrina, non fosse altro perché la campagna elettorale si è basata su una selezione darwiniana a cura dei cartelli della droga che hanno ammazzato una trentina di pretendenti. No, si svendevano pesos utilizzando la scusa del voto per acquistare yen e sostenere la Bank of Japan. La quale dopo aver speso inutilmente 62 miliardi di dollari per sostenere la sua valuta il mese scorso, era ormai pronta a mettere mano alle detenzioni di Treasuries Usa. Proprio mentre il Tesoro opera buyback di quella carta ormai non più negoziabile per toglierla dai bilanci delle banche regionali. Non sia mai, i carry trades servono a questo ormai, nulla più che uno strumento alternativo nella cassetta degli attrezzi del Qe perenne. Spingendo l’euro al ribasso con la sua decisione, la Bce direziona i capitali verso il mercato Usa. E questo grafico ci mostra il perché: la cosiddetta “ampiezza del mercato” (breadth) delle equities Usa – ovvero, il numero totale di azioni di un determinato indice che stanno aumentando di prezzo rispetto a quelle che invece stanno patendo cali – è ai minimi dal 2009. Tradotto, Wall Street sta in piedi per Nvidia e per auto-convincimento da short squeeze. Nulla più.
Ma con il voto che si avvicina, occorre cominciare a correre ai ripari. Servono sacchetti di sabbia per le trincee. Non ci credete? Pensate che la mia sia soltanto dietrologia? Perfetto, lascio che parlino questi grafici, i quali comparano gli annunci della Bce rispetto alle prospettive inflazionistiche con la realtà.
Date un’occhiata a quale condizione potenziale si rischia di andare incontro, in caso un’altra volta Francoforte avesse dato vita a uno studio scientifico quanto il lancio dei dadi. Capito perché si tagliano i tassi una volta e ci si premura di dire al mercato che almeno fino al 2025, regali a Wall Street non se ne faranno più?
Vi stanno dicendo di tutto sulla mossa della Bce. In realtà non serve assolutamente a nulla. Se davvero fosse il meccanismo di trasmissione del credito all’economia reale il punto critico su cui intervenire, 25 punti base di taglio farebbero il solletico. Sia a livello di controvalore, sia a livello di tempi necessari affinché quel flusso potenziale si traduca in liquidità che entra in circola. Ma il problema non è quello. Il problema è solo tenere a galla i mercati azionari. Punto. Tutto il resto è un accessorio. O, temo, un potenziale danno collaterale. Perché se i tassi che calano vengono tradotti in notizia come l’El Dorado per i contraenti mutui, attenzione all’arma a doppio taglio che questa estate qualcuno potrebbe mostrarci a livello di spread. Con 340 miliardi in controvalore di titoli da rinnovare quest’anno, c’è poco da scherzare. Davvero poco. Perché il medesimo Signor Rossi che dovrebbe stappare champagne per i simbolici 16 euro al mese che risparmierà in autunno sul mutuo, oggi come oggi sta già pagando un simbolico doppio (o triplo) a livello di perdite su quei Btp indicizzati all’inflazione che negoziano sotto la parità. E stante quanto accade, difficilmente da qui a fine anno avrà ancora liquidità e fiducia per mettersi in coda alle prossime aste del Mef.
Tanto più che la mossa della Bce svela l’altarino. Se tagli i tassi e contemporaneamente alzi le prospettive inflazionistiche, perché io dovrei fidarmi a comprare titoli indicizzati? Di fatto, stai dicendomi che la stabilità dei prezzi non è il tuo mandato ma il tuo alibi, il tuo disperato cavallo di Troia. Di fatto, oggi un Btp indicizzato equivale a una bond convertibile, gli At1. Quelli che hanno lasciato in mutande già parecchi Signor Rossi. Quelli splendidamente descritti da Antonio Albanese in Cento domeniche. Signori, la Bce andrebbe processata per quanto ha deciso e comunicato giovedì. Invece c’è chi festeggia. E chiede ancora di più. Stiamo giocando a palla avvelenata con una bomba a mano senza spoletta. Prendetene atto. Se invece mi sto sbagliando, dopo l’estate potete tranquillamente massacrarmi. Chiederò che vengano riaperti i commenti a fondo pagina. E io mi cospargerò il capo di cenere. Pubblicamente. Ma lasciate passare il voto europeo. E avvicinare quello Usa e la Manovra correttiva. Dopodiché, valutate nuovamente questa follia irresponsabile spacciata per sospiro di sollievo.
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