«Il Consiglio direttivo ha deciso». Potrebbe bastare solo questo per essere soddisfatti ossia assistere a una decisione che, rispetto all’inerzia, possa in qualche modo cambiare l’attuale stato delle cose. Generalmente, “il cambiare” e il conseguente “moto del cambiamento” implicano, talvolta, uno stravolgimento sull’ordinario stato delle cose, ma quanto si è potuto apprendere nell’ultima parte della trascorsa settimana non ha coinciso con questa ipotesi di potenziale smottamento.
Ovviamente, ci rifacciamo alla recente scelta, appunto la decisione, in capo alla Bce che, giovedì scorso, dopo una lunga attesa ha interrotto il suo consueto e statico approccio monetario: «Il Consiglio direttivo ha deciso oggi di ridurre di 25 punti base i tre tassi di interesse di riferimento della Bce». Si trattava di un’azione talmente tanto attesa che, una volta diffusa, la stessa metabolizzazione da parte dei mercati finanziari ha coinciso con un nulla di fatto: giornata del comunicato in territorio positivo con successiva seduta in negativo. Nulla di più scontato.
Anche noi, su queste pagine, eravamo convinti di un primo intervento («seppur modesto») da parte della Presidente Christine Lagarde, ma, allo stesso tempo, sottolineavamo l’importanza che «le parole e i numeri saranno conseguenti». Quest’ultimi, di fatto, sempre all’interno del comunicato stampa della Bce hanno immediatamente trovato riscontro: il tema? La costante e ricorrente temuta inflazione che, come si può leggere, «resterà probabilmente al di sopra dell’obiettivo fino a gran parte del prossimo anno» con, inoltre, un ulteriore elemento che, fin da oggi, potremmo considerare come il nuovo (ennesimo) dilemma da affrontare e, pertanto, evento immobilizzante sulle future scelte di politica monetaria del Vecchio continente: «Le ultime proiezioni formulate dagli esperti dell’Eurosistema per l’inflazione complessiva e quella di fondo sono state riviste al rialzo per il 2024 e il 2025 rispetto alle proiezioni di marzo. Gli esperti indicano ora che l’inflazione complessiva si collocherebbe in media al 2,5% nel 2024, al 2,2% nel 2025 e all’1,9% nel 2026. L’inflazione al netto della componente energetica e alimentare si porterebbe in media al 2,8% nel 2024, al 2,2% nel 2025 e al 2,0% nel 2026».
Tenuto conto che la Bce ha costantemente seguito «un approccio guidato dai dati», le prossime e future decisioni, subiranno una dilatazione dei tempi, infatti, tale conclusione può essere dedotta attraverso le parole contenute nel testo del comunicato: «In particolare, le decisioni sui tassi di interesse saranno basate sulla sua valutazione delle prospettive di inflazione, considerati i nuovi dati economici e finanziari, della dinamica dell’inflazione di fondo e dell’intensità della trasmissione della politica monetaria, senza vincolarsi a un particolare percorso dei tassi».
Tradotto: preso atto delle nuove proiezioni (riviste al rialzo), il futuro sarà decisamente incerto o riprendendo le parole della Presidente Lagarde coinciderà con una «strada accidentata». Nulla togliendo a quest’ultima ipotesi, i mercati azionari internazionali stanno, invece, rispettando il cammino intrapreso all’interno del canale ascendente da noi individuato in corrispondenza dei minimi dello scorso ottobre 2022: il MSCI World Usd, infatti, anche nel corso dell’ultima ottava ha rispettato la recente dinamica prospettata lambendo la soglia dei 3.500 punti.
Attualmente, complice il segno negativo in dote all’ultima giornata di scambi, possiamo individuare area 3.445,72 quale supporto statico di brevissimo termine che, in caso di cedimento, vedrebbe un downside con primo obiettivo a quota 3.363 punti. Positivo, invece, un eventuale allungo oltre soglia 3.486,26 che, oggettivamente, potrebbe favorire un nuovo record durante l’ottava in corso. Un update doveroso coinvolge l’indice tecnologico statunitense Nasdaq 100 che, a conferma del suo orientamento verso la soglia psicologica dei 20.000 punti ha aggiornato i propri massimi storici oltrepassando i 19.000 punti (massimo weekly a 19.113,88).
Ottimo balzo in avanti per la contrapposta asset class obbligazionaria che, rappresentata dal benchmark Bloomberg Global-Aggregate Total Return Index Value Unhedged Usd, ha superato abbondantemente la parte superiore del trading range delimitato tra i 455,71 e 458,10 punti.
I valori raggiunti (oltre i 460 punti) hanno favorito la creazione di iniziali e diffusi segnali di acquisto sui principali leading indicators che, mutando il loro status dal precedente neutral all’attuale buy signal, potrebbero anticipare il coinvolgimento dei meno reattivi lagging indicators. Positivo l’approdo e il mantenimento (over weekly) di quota 460,58 punti: negativo, invece, un ritorno del livello dei prezzi inferiore a soglia 457,546 punti.
Le materie prime, da noi sintetizzate attraverso il CRB Index, hanno concretizzato un epilogo settimanale verosimilmente invariato (-0,10%). Nonostante l’esigua variazione percentuale, quanto di più interessante (e preoccupante) è l’aspetto esclusivamente grafico poiché, in assenza di un’immediata reazione, le quotazioni potrebbero subire una significativa flessione già in ottica di brevissimo termine.
A sostenere questo potenziale scenario è giunta la violazione della trend line inferiore riconducibile al canale rialzista iniziato lo scorso anno: al momento, infatti, appare fondamentale la tenuta del supporto statico dei 285,85 punti che, se violato, riporterebbe l’intero sottostante in direzione di area 273,75. Viceversa, una più “timida normalità”, potremmo averla mediante il superamento di quota 292,35 punti. Complessivamente, l’ultima tornata weekly ha registrato saldi negativi sull’intero comparto metals (preziosi e non preziosi), mentre sull’opposto paniere energy si è assistito a un primo step di consolidamento dei prezzi. Anche se prematuro, l’ipotesi di un’iniziale rotazione di portafoglio (da metals a energy) non può essere esclusa e, pertanto, tale eventualità sarà da noi monitorata nel corso delle prossime sedute con inevitabile outlook out of the market sull’intera asset class.
Osservando i cross valutari, sia il principale rapporto Eur/Usd che Gbp/Usd hanno subìto un significativo incremento di volatilità in conclusione di ottava: un’auspicata attenuazione di quest’ultima riteniamo possa rappresentare un iniziale (e indispensabile) elemento al fine di poter agevolare una robusta e profittevole strategia soprattutto se finalizzata al brevissimo termine, pertanto, attendiamo. Rimane positiva, invece, la nostra view (long) sul rapporto Usd/Jpy che, come indicato in precedenza, attraverso il superamento di soglia 157,875 vedrebbe una prosecuzione degli scambi coincidente a nuovi record.
Archiviato l’importante dossier Bce, ora, invece, tocca affrontare il delicato filone statunitense che, questa settimana, coinvolgerà la Fed e i dati sull’inflazione a stelle e strisce. L’intera matassa della politica monetaria di oltreoceano appare più complessa da sbrogliare rispetto a quella del Vecchio continente e l’unica certezza che si può intravvedere è quella di un mercato azionario Usa che, pur navigando a vista, prosegue all’insegna di nuovi e continui massimi. Tutto questo quanto potrà durare?
Scusandoci con la vasta platea dei sempre fervidi ottimisti, temiamo, purtroppo, che la conclusione sia, ormai, pressoché giunta.
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