Le elezioni europee in Germania hanno visto non solo e non tanto il tracollo della SPD del cancelliere Scholz, ma soprattutto quello dei Grünen. Non c’è area in Europa dove la sensibilità ecologica è così radicata e radicale come in Germania e, in generale, i Paesi germanofoni. Le ragioni sono antiche, principalmente legate all’eredità del romanticismo tedesco e a tradizioni culturali dove la natura è lo spazio in cui l’essere umano ritrova se stesso.
In fondo, il movimento dei Verdi è nato lì anche per questo ed è bene ricordare che a iniziarlo era stato Herbert Gruhl, un politico “conservatore” (ma è così strano per chi vuole tutelare, cioè “conservare” il patrimonio ambientale?) e democristiano. Il partito, così come si presenta oggi, è il risultato di una serie di fusioni, ma soprattutto della trasformazione in ideologia fluida imposta con l’ingresso massiccio dei sessantottini e, in particolare, di Joschka Fischer a partire dal 1980.
I Verdi tedeschi non hanno perso le elezioni perché i tedeschi hanno smarrito la loro sensibilità ambientale. Il vero nodo è la guerra. Molti di noi ricordano ancora lo slogan da guerra fredda allora portato nelle piazze tedesche proprio dai Verdi di quel tempo: “Besser rot, als tot”, “meglio rossi che morti”. All’epoca i Verdi tedeschi avevano costruito un programma politico tutto centrato sul rifiuto delle centrali nucleari e sulla pace “a qualunque costo”. Di acqua nel Reno e nel Danubio ne è passata tanta, e fluida come la corrente dei due grandi fiumi si è dimostrata la prassi politica di quel partito. Le ragioni della sconfitta dei Verdi vanno ricercate nel tradimento di una promessa e di un punto di partenza, così come qui vanno ricercate le ragioni per cui l’elettorato giovanile se ne è andato altrove.
Quasi tutti i partiti oggi sono “fluidi”, non solo in Germania, e si adattano rapidamente alle esigenze del marketing elettorale, ma un minino di decenza rispetto alla propria storia talvolta pare ancora necessario.
Già Fischer, passato dalle barricate del Sessantotto ai ministeri di Berlino, nel 1999 si era schierato con la NATO a favore della guerra contro la Serbia, con tanto di retorica sulla guerra necessaria per evitare altre guerre, provocando non pochi mal di pancia nel suo elettorato. Nessuno, però, si era spinto tanto in là come Annalena Baerbock, che non ha avuto e non ha paragoni nell’Unione Europea nel sostegno a una soluzione esclusivamente militare del conflitto russo-ucraino. Non stupisce, quindi, che l’elettorato tedesco abbia punito non tanto i Verdi e la SPD, ma proprio la linea bellicista.
Non è facile decifrare il voto tedesco, perché non è facile decifrare la Germania di oggi: un Paese che non si ama e che non ha ancora superato le terribili conseguenze del nazionalsocialismo e della Seconda guerra mondiale. Una cosa, però, è chiara, per quanto non detta sui media: i tedeschi la guerra non la vogliono e sanno benissimo che un nuovo conflitto europeo rivedrebbe proprio loro come campo di battaglia, cosa già più volte avvenuta nella storia. Sì, anche AfD è un partito fluido, che ha avuto inizi ultraliberali (almeno sino all’uscita di scena di Olaf Henkel) e conosce oggi la penetrazione di elementi nazionalisti e di estrema destra. Ma, soprattutto, sia pur tra le righe, il successo di AfD, il cui sostegno tra gli elettori è più sussurrato che gridato – e a noi fa venire in mente i successi della vecchia Lega Nord –, è legato alla richiesta di un minimo di sovranità nazionale, proprio a tutela della pace percepita minacciata come non mai.
E qui siamo al punto Scholz. Perché il cancelliere non si mette in discussione? O, meglio, perché, sui media non trapela nulla della crisi che inevitabilmente sta scuotendo la maggioranza “semaforo” (liberali-socialdemocratici-verdi)? Nella prassi, per quel che poteva, Scholz è stato molto meno guerrafondaio della sua ministra verde degli Esteri. Ha cercato, con estrema prudenza, di conciliare posizioni inconciliabili: l’atlantismo imposto dagli USA e la volontà di pace, sua e del suo popolo. E, alla fine, si sta sentendo dire, anzi, gridare, che ci sono posizioni non mediabili. Scholz, a differenza di Macron, non può rimettere in questione, almeno non subito, il proprio governo, perché semplicemente deve “ubbidire” a una linea imposta dall’esterno. Scholz sa anche che la possibilità di una stampella da parte della CDU-CSU, con qualche forma di “Grande Coalizione” è tutt’altro che esclusa, se da oltre Atlantico ne arrivasse l’indicazione. Ma la CDU-CSU, che qualche voto in più lo ha raggranellato, sa che per fermare l’avanzata di AfD dovrebbe cessare di essere un partito “fluido” e farsi carico del bisogno di pace di cui Konrad Adenauer fu, invece, piena espressione quando lavorò per la rinascita della Germania e la fondazione di una nuova Europa?
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