Suor Elisabetta, per 15 anni confidente di Pietro Pacciani, è sempre stata certa dell’estraneità del contadino di Mercatale ai delitti del Mostro di Firenze. Una convinzione, la sua, ribadita poche ore fa davanti alle telecamere di Farwest, la trasmissione di Salvo Sottile che ha mandato in onda un nuovo approfondimento sui duplici omicidi che insanguinarono le campagne fiorentine fino alla metà degli anni ’80. Oggi 90enne, gli è stata accanto a lungo fin da quando Pacciani finì in carcere per le violenze ai danni delle figlie. “Da allora non l’ho più lasciato – ha dichiarato in tv –, specialmente nel periodo in cui fu accusato di essere il mostro. Lì ho anche aumentato i miei incontri con lui perché capivo che era un uomo che soffriva tantissimo, non accettava questa accusa. Non è assolutamente il Mostro di Firenze, va cercato in un altro ambiente. Lui mi diceva ‘Ma si accorgeranno che non sono io?’“.
Pietro Pacciani morì nel 1998 a ridosso dell’appello bis che lo avrebbe visto nuovamente alla sbarra dopo l’annullamento dell’assoluzione in secondo grado deciso dalla Cassazione. Secondo suor Elisabetta, non può essere il serial killer delle coppiette anzitutto per l’assenza di quelle caretteristiche fisiche necessarie a compiere omicidi di tale complessità: “Non era una persona così agile, lì ci voleva una destrezza, una sveltezza che lui non poteva avere“. C’è un altro motivo che la spinge a ritenere impossibile un coinvolgimento di Pietro Pacciani nel caso “Mostro”: i soldi. Secondo l’accusa, le notevoli disponibilità economiche e patrimoniali di Pietro Pacciani sarebbero state prova della sua colpevolezza nell’ottica di un ruolo di esecutore materiale “manovrato” da uno o più mandanti occulti, il cosiddetto “livello superiore” che avrebbe “pagato” per quei duplici delitti e per avere i “feticci“, le parti anatomiche asportate ad alcune delle vittime di sesso femminile tramite l’escissione di seno sinistro e pube. Per suor Elisabetta, si tratta di una ricostruzione inverosimile se si guarda alla condizione dei “compagni di merende” condannati per quattro degli otto duplici omicidi: “Se il Pacciani era un sicario, sicari dovevano essere anche il Vanni e il Lotti. E dove sono i loro soldi?“.
Suore Elisabetta: “Un detenuto mi disse che Pietro Pacciani non era il Mostro di Firenze e mi fece un nome”
Riavvolgendo il nastro della storia del Mostro di Firenze all’epoca in cui Pietro Pacciani era in carcere, il racconto della suora che fu sua confidente per 15 anni rimanda a un episodio che vedrebbe coinvolto un soggetto all’epoca ristretto nello stesso penitenziario. Così suor Elisabetta lo ha descritto ai microfoni del programma di Rai 3: “Un detenuto venne da me per dirmi ‘Non è Pietro Pacciani il Mostro, e mi fece il nome. Chi è? Preferirei non dire niente. Lascio a voi il compito“.
Ospite della trasmissione di Salvo Sottile anche la criminologa Roberta Bruzzone, da sempre convinta dell’estraneità di Pietro Pacciani e “compagni di merende” alla scia di sangue attribuita al Mostro di Firenze. In studio, ha spiegato perché, dal punto di vista criminologico, il quadro di un loro coinvolgimento nei delitti non regge: “Questa tipologia di condotte, soprattutto l’evoluzione della firma comportamentale, quindi le escissioni che variano poi a seconda della fase della serie, è del tutto incompatibile con l’azione di un gruppo criminale“. Secondo l’esperta, la parabola delle azioni omicidiarie sarebbe invece compatibile con “lo sviluppo, il concretizzarsi in maniera progressiva di una fantasia, chiaramente aberrante, parafilica gravissima, in un soggetto singolo che è portatore di bisogni specifici di tipo sessuale completamente devianti. Difficilissimo – ha concluso la criminologa – che un gruppo possa condividere un’evoluzione di una firma comportamentale così specifica e così peculiare“.