Ed eccoci finalmente al G7 “Made in Italy” che – dopo tanti antipasti tematici (è diventato uso che i vari ministri si sorridano nelle settimane precedenti in sedi minori, riunendosi tra loro per aree di competenza) – trionfa in Puglia con la premier Meloni che arriva al meeting in 500 (pubblicità occulta?) dimostrando però di essere l’unica credibile ed in una specie di club di morituri fantasmi.
Intorno a lei sembra infatti in corso un congresso della “combattenti e reduci”, con Joe Biden che appare decisamente impacciato scambiando forse la Puglia con una riproduzione di Las Vegas e che comunque rischia a breve di essere sbranato da Trump. Accampando stanchezza ed impegni elettorali Biden si è limitato ad una comparsata con toccata e fuga e senza nemmeno rimanere a cena con Mattarella, pronto al reimbarco sull’Air Force One destinazione la Florida e i guai di famiglia.
Peggio ancora vanno le cose per Rishi Sunak, che è in scadenza come i formaggini: il 4 luglio – mentre Biden festeggerà il suo forse ultimo Independence Day alla Casa Bianca – sa già che gli elettori inglesi lo spediranno a casa, complice la discesa in campo dell’euroscettico Nigel Farage che – spaccando i conservatori – riporterà i laburisti a Downing Street.
Segue un velo pietoso su Emmanuel Macron, abbattuto domenica scorsa sulla via di Bruxelles e nei guai fino al collo in casa propria. Gaffeur, sinceramente villano e poco rispettoso verso la padrona di casa, esordisce subito sull’aborto e sostenendo che “nulla cambia in Europa” quando sa benissimo quanto stia traballando lui stesso all’Eliseo e le sue politiche europee.
Davanti a lui siede Olaf Scholz, pure lui stroncato domenica nelle urne, e che ha portato i socialdemocratici tedeschi ai minimi storici tanto da essere superati ed umiliati perfino dai presunti neonazisti dell’AfD. In Germania le cose vanno male e Scholz resiste a fatica per un cancellierato che sta scontentando – secondo le statistiche – quasi due terzi dei tedeschi, che domenica scorsa glielo hanno confermato.
A fine corsa anche il premier canadese Justin Trudeau: in Canada le elezioni si terranno solo l’anno prossimo, ma il partito liberale del premier è indietro in tutti i sondaggi nonostante la rincorsa ad accattivarsi le minoranze, i nuovi immigrati, il mondo Lgbtq+. Oltretutto, a voler ben guardare, Trudeau al G7 è diventato un po’ un abusivo: il Canada è stato superato economicamente da più Paesi (come il Brasile e l’India) e quindi più che altro la sua è una presenza “ad honorem”.
Orfano di Putin, innominabile fantasma (perché il G7 fino a tre anni fa era G8, forse pochi lo ricordano), a comporre il tavolo d’onore resta il giapponese Fumio Kishida le cui politiche riscuotono il plauso di Washington, ma non sembrano in grado di risollevare la popolarità del premier fortemente danneggiata dagli scandali nella gestione dei fondi elettorali e politici che hanno coinvolto esponenti di spicco del suo Partito liberaldemocratico. A pochi mesi dalle elezioni per la presidenza del partito, prevista per settembre, i problemi interni e i contrasti tra le diverse correnti rischiano di pregiudicare la rielezione di Kishida e, di conseguenza, la sua permanenza alla guida del governo giapponese.
Convitata di ferro resta così solo ancora la gioiosa Ursula von der Leyen – che non si sa per quanto tempo resterà ai vertici europei – e che è alla disperata ricerca di consensi, ben sapendo che metà del Ppe la vorrebbe pensionare, mentre la presenza di Zelensky è da copione, visto che all’ordine del giorno c’è la destinazione di un ulteriore pacchetto di aiuti all’Ucraina prelevando almeno ufficialmente i fondi dai profitti dei beni congelati ai russi in diverse parti del mondo.
In questo bilancio un po’ desolante alla fine chi sta politicamente meglio è la presidente del Consiglio, che sembra la più stabile del gruppo, perché c’è da chiedersi davvero chi degli altri si ritroverà al prossimo vertice da qui a sei mesi.
Anche per questo l’edizione del G7 italiano è aperta sul mondo con l’arrivo di una ventina di leader mondiali – ci sarà anche Papa Francesco – a parlare di tutto e di più, dalle guerre all’intelligenza artificiale, dall’economia ai rapporti con l’Africa. Una agenda multilaterale affollatissima (forse fin troppo) che si chiuderà con documenti e sorrisi, ma con i leader distratti a pensare ai problemi di casa propria e che appena possibile leveranno le tende nonostante l’accogliente ospitalità e la cucina italiana sulla quale – più che sui problemi – si è concentrata l’attenzione dei media mondiali. Un vertice che comunque rappresenta una grande cartolina per l’Italia e la sua leader.
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