Nei commenti post elettorali c’è sempre un convitato di pietra: il partito degli astenuti. Anche se non fa campagna elettorale, tutti i protagonisti dell’agone politico affermano di conoscerlo, tant’è che ognuno di loro si sente in dovere di esserne per qualche minuto provvisorio portavoce. Qualche minuto, appunto, perché il partito dei non-elettori non ha, ovviamente, rappresentanti scelti dal popolo. Non solo. È totalmente irrilevante per la determinazione del numero degli eletti, i quali rimangono invariati a prescindere da quanti hanno esercitato o meno il sacrosanto e costituzionale diritto-dovere di votare.
In occasione delle recenti elezioni europee l’astensionismo ha ingenerato ritrite (ma non per questo errate) valutazioni sul reale sentimento dei cittadini verso le istituzioni europee che sarebbero percepite come lontane, fisicamente e idealmente, dall’uomo della strada e avulse dai suoi concreti interessi. In effetti, il 49,69% di affluenza al voto sembrerebbe confermare l’analisi; ma è davvero solo questo?
Contestualmente alle elezioni europee, in Campania si è votato in 168 comuni anche per il rinnovo della carica di sindaco e annessi consigli comunali. Di questi, solo 18 superano i 15mila abitanti. Ben 88 contano meno di 2mila anime. Alcuni sono poco più grandi di un medio condominio di una città. Valle dell’Angelo, in provincia di Salerno, registra all’anagrafe 220 persone, Ciorlano nel Casertano 372, tanti altri si aggirano intorno alle mille.
L’accostamento al condominio, tuttavia, non è corretto se non per i numeri. In quest’ultimo, spesso, non si conosce chi abita due piani sopra, men che meno la sua storia, anzi. La porta di casa viene considerata un limite invalicabile quanto a privacy e i rapporti possono anche limitarsi a fugaci saluti di circostanza. Nel paese, no. Non solo ci si conosce tutti (ma proprio tutti!); di ognuno si sa la storia, ascendenti, discendenti e collaterali, fortune e rovesci. I rapporti, anche quelli più burrascosi, sono il tessuto indispensabile per lo svolgimento della vita sociale del paese.
Nelle recenti elezioni comunali, in questi 88 comuni solo in 38 si è registrata una affluenza superiore al 70%, in altri 13 sopra il 60%. Negli altri 37 si contano percentuali inferiori, prossime spesso al 40% per segnare il minimo assoluto a Rofrano (Salerno) dove ha votato il 39,92% rispetto ai suoi 1.293 abitanti. Sicuramente la rilevanza numerica, in termini assoluti, del fenomeno è del tutto relativa. Però i numeri non dicono tutto e vanno calati nel loro contesto. Nel “paese”, come detto, si conosce tutto di tutti. Il sindaco non è un “qualcuno lontano” ma una persona di cui i “paesani” sanno ogni cosa, indirizzo e numero di telefono compreso. È qualcuno che si incontra al bar e al quale si può immediatamente esporre un problema, una questione ritenuta rilevante. Lo stesso dicasi per assessori e consiglieri. Una buca davanti alla porta di casa o uno spazio verde non curato sono problemi che il cittadino può far “presente” senza i filtri delle strutture amministrative cittadine.
Spesso il “politico locale” è giocoforza un parente o un compagno con cui si è cresciuti insieme; questo significa sicuramente maggiore confidenza ma anche maggiore sensibilità nel sostenerlo nelle “elezioni comunali”, che in questi contesti sono particolarmente sentite. Inoltre, le liste non hanno connotati espressamente politici, tant’è che non esistono schieramenti di partito ma coalizioni che pongono al centro il Comune stesso, per cui il richiamo “al bene comune” ha un risvolto tangibile nel miglioramento di quella piccola realtà.
Se in contesti simili, dove la inevitabile maggiore prossimità della politica e delle istituzioni dovrebbe motivare ancor di più ad esercitare il voto, si raggiungono percentuali di partecipazione che non basterebbero a costituire validamente neanche una assemblea condominiale, ciò può significare soprattutto una cosa: prima ancora che nella politica, si è smesso di credere nell’istituzione in quanto tale. Che venga eletto Tizio o Caio, il parente o l’amico, è relativo non per l’equivalenza (spesso verso il basso) del candidato, ma perché la carica che vanno a ricoprire è percepita come irrilevante perfino per la soluzione dei problemi pratici che si possono presentare ad una piccola comunità; in un modo o nell’altro il problema sarà risolto e, se non si risolve, fa lo stesso.
Aggiungiamoci che in questi paesi le “nuove generazioni” emigrano verso altri contesti, portando con loro le possibili nuove energie che possono essere messe in campo per rivitalizzare il territorio. Per chi rimane, politica e istituzioni rischiano di diventare un déjà vu di interesse prossimo allo zero.
Se è così per la concreta realtà del piccolissimo centro, come potrà il suo elettore medio percepire “l’importanza storica”, sbandierata a più voci, di una elezione come quella per il parlamento europeo in cui i rappresentanti sono non si sa dove e non si sa che cosa decidono? La questione, almeno per la democrazia, è più seria di quello che si immagina. Liquidarla con le “trite” considerazioni post elettorali, è come recitare un de profundis.
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