Appena passate le elezioni europee, che hanno completamente paralizzato qualsiasi iniziativa che riguardasse l’auspicata riforma pensioni 2025 che gli italiani aspettano da almeno dodici anni, il tema pensioni ritorna sulle pagine dei quotidiani italiani con una notizia che gli addetti ai lavori analizzano da tempo, ma che i politici troppo presi da continue campagne elettorali fingono di non conoscere nella devastante realtà di un argomento che riaffiora di tanto in tanto e che non viene mai affrontato nella sua interezza e complessità.
La notizia cui si fa riferimento è contenuta nel messaggio Inps n. 2180/2024 che adegua gli incrementi pensionistici alla speranza di vita in base allo scenario demografico Istat e che determina che chi oggi ha trent’anni ed è entrato nel mondo del lavoro nel 2022 e possieda almeno 20 anni di contributi potrà andare in pensione in pratica a 70 anni oppure se non avrà il minimo richiesto di 20 anni di versamenti previdenziali e almeno tre volte l’importo della pensione sociale non potrà accedervi prima di aver compiuto 74 anni.
Notizia che segue quella del rapporto dell’Ocse, l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, che non più tardi di sei mesi fa affermava che i giovani in Italia andranno in pensione ad almeno 71 anni di età. Quel rapporto dell’Ocse chiamato “Pensions at a glance” del dicembre 2023 analizzava la situazione della riforma pensioni 2025 dei 38 Paesi membri ed evidenziava un aspetto che gli economisti nostrani dicono da tempo e cioè che i giovani sono i più penalizzati riguardo alla previdenza perché hanno il calcolo effettuato integralmente con il metodo contributivo, entrano tardi nel mondo del lavoro, hanno carriere discontinue e frammentate e quando finalmente usciranno ben oltre i 70 anni dal mondo del lavoro si ritroveranno una pensione che sarà il 50% del loro stipendio.
Sono passati oltre sei mesi, ma i nostri politici troppo presi sempre da campagne elettorali e con il solo scopo di essere eletti stanno dimenticando e accantonando completamente un aspetto che rischia di diventare, quando i giovani prenderanno coscienza di ciò, una vera e propria bomba sociale assolutamente da evitare.
Qualche timido segnale di affrontare l’argomento pare esserci anche perché passata l’estate ci ritroveremo in un attimo in “zona presentazione Legge di bilancio” e bisognerà intraprendere almeno il discorso che riguarda i tre istituti di uscita anticipata quali Quota 103, Ape sociale e Opzione donna che sono in scadenza al 31/12/2024 e decidere che cosa fare per la famosa Quota 41 che Durigon ha rilanciato prima delle elezioni europee, ma che il Mef ha sempre visto con sospetto a causa di conti pubblici perennemente in difficoltà e dove la Meloni ha sempre evitato di metterci la faccia. C’è poi da considerare l’iniziativa del Cnel, Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro, che nel febbraio scorso ha istituito un gruppo di lavoro sulla “Riforma e prospettive delle pensioni” che prevede la realizzazione di quattro documenti tecnici su specifici temi come le casse dei liberi professionisti, la previdenza complementare, la previdenza obbligatoria e la contribuzione che saranno propedeutici alla messa a punto per i primi di ottobre di una proposta di disegno di legge di riforma delle pensioni 2025 che dovrebbe essere la base su cui poi l’Esecutivo deciderà se prendere in considerazione o meno ed eventualmente inserire nella manovra di bilancio per l’anno 2025.
Tornando ai giovani, che sono considerati una categoria a forte rischio estinzione nel nostro Paese dove non si fanno più figli e la popolazione invecchia sempre più, una delle soluzioni su cui il Governo si è impegnato a rendere l’istituto molto più agevole e conveniente per i lavoratori è quello rappresentato dalla previdenza complementare che però in Italia stenta a decollare nonostante notevoli vantaggi fiscali e che nel caso di fondi chiusi, quelli cioè riservati a specifiche categorie di lavoratori, beneficiano anche di una parte di versamento effettuata dal datore di lavoro. Purtroppo in Italia i giovani, a anche a causa della scarsa educazione finanziaria che a parer mio dovrebbe anche essere insegnata nelle scuole, e anche per gli importi delle retribuzioni che sono soprattutto all’inizio molto bassi e fermi da molti anni, non si vogliono privare mensilmente di quei 100/200 euro che permetterebbero, cominciando a versare all’inizio della carriera lavorativa, di avere quel pezzo di pensione per integrare l’assegno dell’Inps che per le ragioni sopra esposte non permetterà in futuro di mantenere un adeguato livello di vita.
In pratica l’attuale sistema a ripartizione dopo quasi ottant’anni di vita e che ha permesso, nonostante le varie regalie dei passati decenni, di mantenere il sistema previdenziale in equilibrio, adesso comincia ad avere i primi segnali di cedimento perché i pensionati aumentano rispetto a quelli che sono i lavoratori attivi. Per questo motivo è necessario intervenire senza indugio da parte delle forze politiche e con il supporto di tecnici, sindacati e datori di lavoro intervenire con l’attuazione di una riforma delle pensioni 2025 per consentire di avere in futuro un assegno previdenziale coerente con il costo della vita.
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