Piace pensare che la senatrice Liliana Segre e i 180 costituzionalisti italiani “avanguardisti” dei cortei contro il premierato di Giorgia Meloni abbiano voluto lanciare un richiamo più generale sui rischi crescenti dell’Uomo Solo al Comando in uno Stato democratico. L’attualità, nel campo occidentale cui l’Italia appartiene, non sembra mancare in effetti di segnali preoccupanti.
Il caso più lampante e drammatico di degenerazione di un “premierato” formalmente democratico è senza dubbio quello emerso in Israele. Qui il premier Netanyahu – per quanto sempre sostenuto da una maggioranza parlamentare democraticamente eletta – è inseguito da anni da inchieste giudiziarie per corruzione: cui sta tuttora tentando di rispondere con discussi progetti di riforma dell’indipendenza della magistratura, con provvedimenti d’iniziativa del potere esecutivo.
Nel frattempo la crisi seguita all’attacco di Hamas ha spinto lo Stato ebraico a una reazione bellica talmente “premierale” da indurre la Corte Penale Internazionale a indagare lo stesso premier per ipotesi di crimini di guerra. Ma dopo sette mesi di guerre a Gaza la democrazia “iper-premierale” di Gerusalemme sta producendo tensioni crescenti fra le istituzioni politiche e le forze armate (anche per l’esenzione dal servizio militare per i soli giovani ebrei ortodossi, sostenitori di Netanyahu) nonché una gestione sempre più anomala dell’ordine pubblico, con la nascita para-legalizzata di milizie di coloni estremisti nei Territori palestinesi.
L’esecutivo Netanyahu sta inoltre varando progressive restrizioni della libertà di stampa: con un controllo sempre più stretto dei canali radiotelevisivi statali, con l’espulsione di media internazionali e con l’intimidazione aperta di testate e giornalisti d’opposizione. Questo non sta però impedendo a Yair Netanyahu – figlio del premier – di alimentare violente campagne social dal suo rifugio statunitense di Miami. Il bersaglio mirato di questi giorni è il vertice dell’esercito, accusato apertamente di tradimento dopo la decisione autonoma di un breve cessate il fuoco umanitario a Gaza.
A un contesto che sembra molto più effettivo e preoccupante di quello italiano – ancora potenziale e diverso negli sviluppi prevedibili – non sembra difettare neppure un tentativo di interferenza del “premierato” israeliano nella democrazia statunitense alla vigilia delle elezioni presidenziali. L’Uomo Solo di Gerusalemme ha infatti sollecitato e ottenuto (per la seconda volta in nove anni) di poter parlare direttamente al Congresso di Washington, ignorando platealmente la Casa Bianca. Ma tutto questo non sembra significativo ai fini della polemica anti-premierato della senatrice Segre e dei costituzionalisti italiani.
I dubbi su un’eccessiva concentrazione di poteri esecutivi in una sola figura costituzionale sono però cresciuti enormemente, negli ultimi giorni, nel cuore dell’Europa, ai confini italiani. Il presidente francese Emmanuel Macron ha sciolto con un annuncio televisivo l’Assemblea Nazionale – detentrice del potere legislativo – pochi minuti dopo aver appreso dagli exit polls di aver riportato una netta sconfitta alle elezioni europee. Si è trattato di un atto di puro arbitrio individuale, senza confronti neppure minimi o formali con altre figure di contrappeso costituzionale. L’opportunità di sciogliere il parlamento, congedare il governo e indire elezioni legislative anticipate è stata valutata esclusivamente dal presidente “esecutivo”: che si è per questi attirato immediatamente l’accusa di aver privilegiato i propri interessi di potere alla stabilità della Francia e forse anche dell’Europa (basti pensare all’immediato rialzo dello spread francese e allo stallo indotto dalla crisi interna francese al tavolo delle nomine di Bruxelles).
È un fatto che all’Eliseo sia stato consentito di scatenare “tempeste perfette” concentriche da un ordinamento costituzionale risultato dalla sovrapposizione semi-presidenzialista al sistema parlamentare della Quarta repubblica francese. Una svolta voluta da un generale come Charles de Gaulle, che ha comunque mostrato di saper reggere per oltre un sessantennio: a lungo ammirato, anzi, il semipresidenzialismo a doppio turno d’Oltralpe per la sua apparente efficienza politico-istituzionale.
Ma proprio la crisi del 2024 a Parigi ha messo a nudo tutte le insidie annidate in ogni dualismo non ben disciplinato – nel diritto o nei fatti – fra un presidente e un premier in una repubblica democratica. E il progetto di premierato italiano – certamente non privo di incognite e profili migliorabili – è nato essenzialmente come risposta a un trentennio di “coabitazioni di fatto” non contemplate dalla Carta: fra diversi governi di centrodestra (basati su maggioranze parlamentari nettamente conquistate al voto) e una Presidenza della Repubblica costantemente affidata a esponenti del centrosinistra proiettati oltre il ruolo di garanti istituzionali, verso invece l’esercizio diretto o indiretto di un “contropotere” estraneo alla Repubblica parlamentare disegnata dalla Costituzione.
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