Stavolta c’era davvero l’imbarazzo della scelta. Le tracce proposte dal ministero per la prima prova dell’esame di maturità 2024 erano tutte interessanti e stimolanti, “trasversali”, come le ha definite una mia collega, cioè pensate per essere svolte dagli studenti dei diversi indirizzi scolastici. Non sono mai stato un amante del tototema e quindi sono arrivato a questa prima tappa degli esami di maturità da docente del tutto disinformato sui temi di tendenza; tuttavia alla domanda esplicita fattami da un amico avevo risposto che c’era da aspettarsi qualcosa su internet, l’intelligenza artificiale e la guerra. Il che regolarmente è stato. Il bello è nel come è stato.
Innanzitutto le due analisi del testo che con tutta probabilità (non ho numeri, al momento in cui scrivo) hanno convogliato il gradimento di gran parte degli studenti, perché presentavano due autori tra i più conosciuti ed amati, Ungaretti e Pirandello. Penso che in molte commissioni, come avvenuto nella mia, quando sono stati fatti i due nomi si siano avute manifestazioni di entusiasmo. Pellegrinaggio di Ungaretti voleva essere il punto di partenza per una riflessione sulla modalità di rappresentazione della guerra da parte della letteratura e delle arti in generale (oltre alle discipline più strettamente artistiche si poteva andare a pescare nella musica o nel cinema), alla ricerca di qualche denominatore comune. L’esperienza di Ungaretti è quella particolarissima di chi ritrova un’armonia nella disarmonia di ciò che sta vivendo e quel seme di “spinalba”, parola che mette insieme l’aculeo che ferisce e l’alba che annuncia il nuovo giorno, ne era la sintesi. Una traccia molto stimolante per chi ha masticato altri testi sulla guerra, di Ungaretti e non, e li ha fatti propri. Un po’ meno per chi invece si è imbottito solo di nozioni e a queste si è fermato.
Il passo di Pirandello, tratto dall’incipit dei Quaderni di Serafino Gubbio operatore, era uno di quelli che spingono a pensare e a giudicare la realtà intorno a noi. In questo caso poteva rientrare benissimo dalla finestra quell’intelligenza artificiale che era uscita dalla porta. La tematica della macchina che da strumento si trasforma in nostra padrona è di un’attualità sconcertante, se si pensa che il testo risale a più di cento anni fa, come anche la rappresentazione profetica di un uomo fatto a pezzi, che non ha più un’anima (non gli serve più!) e che non riesce più ad innalzarsi non tanto alle stelle, ma addirittura a un palo del telegrafo. Bastava seguire Pirandello e parlare criticamente del contemporaneo. Certo, l’insidia era in quella domanda sullo stile del grande autore. Saranno stati in grado gli studenti di sottolineare la sintassi paratattica, l’andamento da monologo teatrale, l’ironia, il sarcasmo, il tono antifrastico di alcune frasi, l’enfasi delle interrogative e delle esclamative presenti nel testo?
Veniamo alla tipologia B di questa maturità. La prima proposta, tratta dalla Storia d’Europa di Galasso, era facilmente e drammaticamente riferibile a quanto stiamo vivendo in un mondo in cui si ripropone, a volte davvero dando prova di irresponsabilità, quell’equilibrio del terrore che fu tipico della guerra fredda. Si afferma che arrivare a una pace giusta è impossibile senza la deterrenza e si rispolvera il motto latino Si vis pacem para bellum. Fin dall’inizio della guerra in Ucraina questo è stato il principale argomento che ha giustificato l’invio massiccio di armi in quei confini da parte dei Paesi occidentali. La domanda della traccia era impegnativa: dobbiamo affidarci all’equilibrio del terrore o ci sono altre strade possibili da percorrere?
La seconda proposta, sullo stimolo di un passo di Maria Cristina Cabiddu, apriva ad un respiro più grande e felice, invitando a godere, assorbire con la giusta consapevolezza ed ammirare la bellezza del nostro Paese. E mettere al centro della riflessione la bellezza non è mai sbagliato, specie se questa veicola storia, memoria, tradizione, radici, cultura. Inoltre la proposta del ministero portava a valorizzare quegli esperimenti di cittadinanza attiva che operano nella direzione della valorizzazione e della salvaguardia di questo importantissimo patrimonio. Purtroppo, però, temo che questa proposta sarà stata poco gettonata: i giovani vivono di un presente fatto di continui stimoli e reazioni virtuali e raramente si guardano intorno a guardare con uno sguardo valorizzatore e grato quello che il passato ci ha lasciato.
Terza proposta, un elogio del silenzio. Davvero un gran bel tema, ma questa era la traccia forse più insidiosa, sia perché l’esperienza del silenzio è sempre meno diffusa tra i giovani e in generale nel nostro mondo, sia perché la riflessione doveva farsi per forza di cose molto profonda e quindi difficile da gestire. Vi si parlava di silenzio come predisposizione al dialogo con l’altro, non tanto come momento di introspezione (il che è più facile da vivere e da comprendere) e inoltre lo stile del testo proposto era ricco di retorica (“dialogo come scambio contrappuntistico di parole e silenzi”… quanti studenti oggi capiscono davvero questa definizione?). Complimenti ai pochi che hanno fatto questa scelta!
Veniamo infine ai due temi, tipologia C. Prima proposta, un elogio dell’imperfezione fatto da Rita Levi-Montalcini e anche in questo caso tanto di cappello, in una società contemporanea (e più propriamente scolastica in molti casi) in cui invece la perfezione è messa al centro, è il bersaglio principale di tutti. Per avere successo o anche solo per ricevere la stima degli altri bisogna essere perfetti; per andare all’università bisogna avere punteggi alti; a scuola, fin dai primi anni, è tutta una corsa alla perfezione del voto e spesso sono gli adulti a caricare di ansia da prestazione i giovani. In più doveva colpire il fatto che questo elogio dell’imperfezione proveniva da una donna di scienza, mandando in crisi l’assioma per cui la ricerca scientifica si affida al certo e al programmato. La Montalcini parla invece del caso! Insomma, c’era molto da dire e l’insidia era nel trovare questo molto, nel presentare argomenti, esempi concreti che sostenessero l’argomentazione, così da non renderla generica e banale.
Ultima proposta, l’immancabile riflessione sui social. Ma stavolta a partire da un’angolatura davvero interessante: la scomparsa del diario e quindi dell’intimità, della conoscenza approfondita di sé, della confessione delle proprie paure e imperfezioni. Il tutto in favore dell’immagine esteriore e in fondo falsa che è quella che si propone sui social nell’affannosa ricerca di una serie di clic a cui sembra legato l’unico successo possibile. Scompare la ricerca di sé garantita dal diario, prevale l’affermazione di un sé che non è pieno né autentico. Una traccia veramente bella, che però richiede una maturità di scandaglio e di autocritica per essere degnamente svolta.
C’era dunque l’imbarazzo della scelta, ma anche un altro aspetto che va colto: il fatto è che sembrano esserci collegamenti tra le varie proposte di questa maturità. Serafino Gubbio scrive un diario perché deve soddisfare “un bisogno di sfogo”, quel diario che oggi non si scrive più. La riflessione sulla necessità del silenzio va di pari passo con quella sull’imperfezione e con quella sul diario che aiuta nella comprensione di sé e degli altri. La testimonianza del fante Ungaretti può essere una risposta o una critica vivente all’equilibrio del terrore. La necessità di recuperare uno sguardo capace di vedere la bellezza del reale e del patrimonio naturale e storico è proprio quella cui invita Ungaretti e in genere la poesia, l’arte. Caso o strategia?
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