Caro direttore,
innanzitutto ringrazio dell’ospitalità. Ma soprattutto tutti noi ringraziamo il Papa perché abbiamo sentito alla radio che nell’Angelus domenicale continua – unico fra tutti, nel silenzio generale – a ricordare questo Paese insieme alle tragedie dell’Ucraina e Israele-Palestina.
Comprendiamo bene che per la vostra vicinanza geografica a queste due aree di crisi e la loro potenziale deflagrazione a livello mondiale, questi due conflitti attirino la vostra attenzione. Ciò non di meno, non possiamo che ripetere, ancora una volta, come la crisi birmana sia drammatica e si aggravi ogni giorno di più. Si calcola che i morti dall’inizio della guerra siano circa 50mila e gli sfollati circa 2,5 milioni.
Alcune organizzazioni internazionali hanno indicato la Birmania come il Paese più violento del mondo. Ciò per un Paese buddista è un paradosso. Eppure è così: la violenza impera. È un vulnus drammatico per questa gente che fa (anzi faceva) della non violenza uno dei punti cardine della propria filosofia. Dico “filosofia” perché il buddismo è una pratica mentale che adotta riti religiosi. Ma veniamo a noi.
L’impunità di cui godono i militari e la polizia consente loro atti di violenza inauditi, vessazioni continue verso la popolazione civile sia nelle città che nelle campagne. Tutte le libertà civili sono state di fatto cancellate. Il potere legislativo e la magistratura sono nelle mani dell’esercito. Le conquiste del passato sono state cancellate.
Accanto a ciò vi sono i combattimenti tra esercito e le forze di opposizione. La situazione che avevo descritto nelle scorse mail si è accentuata. I militari controllano ormai solo le pianure centrali ed in particolari le città di Rangoon, Mandalay, Naypydaw. Pochi chilometri fuori dalle città è terra di nessuno. Molti osservatori ritengono che il governo controlli meno della metà del Paese. Non solo: continua a perdere territori. Tutti i valichi di confine con India e Cina sono in mano alle milizie. Ciò è frutto dell’operazione “1027” con cui le forze di opposizione hanno bloccato i collegamenti terrestri verso l’estero.
Nonostante questo continuano gli accordi commerciali tra i generali e India, Cina e Russia attraverso vie navali ed aeree. I militari stanno svendendo le risorse naturali del Myanmar e i proventi, come più volte denunciati, finiscono nei conti privati a Singapore. Ma anche in città il clima non è “easy”. Manca la corrente elettrica e con un caldo che costantemente (ripeto costantemente) è sopra i 40°C, non so come faccia a resistere la povera gente. Non solo mancano la luce e l’assistenza sanitaria, i prezzi dei beni alimentari sono pari a quelli italiani a fronte di stipendi minimi. Nelle campagne la situazione è – se possibile – ancor più grave: i giovani sono spariti arruolandosi nelle milizie etniche antigovernative o emigrando all’estero. Questa mancanza di manodopera (lavorano solo i vecchi) crea ovviamente grossi problemi economici in tutti i settori. A ciò si aggiunge l’aumento dei prezzi dei fertilizzanti e del petrolio: l’esito è che la produzione industriale ed agricola è crollata. Come dicevo, anche i prezzi dei prodotti alimentari sono alle stelle e per un Paese che non aveva mai sofferto la fame (si fanno tre raccolti di riso all’anno) si affaccia lo spettro della carestia.
Fatto il “cahier de doléances” circa lo stato di fatto, rimane solo una domanda: cosa si può fare? Le strade sono due. Una è attendere la resa sul campo dell’esercito (sicuramente il giorno prima i generali fuggiranno a Singapore) ma, visti gli aiuti militari dagli “amici”, la cosa potrebbe avere tempi lunghi.
La seconda è un’azione diplomatica occidentale. Essa dovrebbe, in primis, riuscire a unire le Forze di Difesa Popolare (PDF) e le forze paramilitari etniche sia per un coordinamento militare che per un accordo politico. Solo un soggetto terzo può aiutare a mettere insieme forze che hanno un obiettivo comune (liberarsi dalla dittatura) ma ancora divise da pregiudizi etnici su cui fanno leva i militari. In secondo luogo, bloccare i canali bancari che consentono l’operatività su Singapore (già nella “black list”). In terzo luogo attivare la Corte Penale Internazionale.
In tutto ciò la solidarietà fra la gente è sempre commovente, in questo caso senza distinzioni: buddisti, islamici e cristiani. Quest’ultimi attraverso le parrocchie e la Caritas sostengono quante più persone possibili. Purtroppo i mezzi sono limitati e l’aumento dei prezzi riduce il potere d’acquisto anche per l’elemento base dell’alimentazione: il riso.
Sono commosso da questa grande carità. Le mie vaghe reminiscenze del catechismo mi ricordano che le virtù teologali sono Fede, Speranza, Carità e il mio vecchio parroco ci diceva: “Sono come la Trinità: senza la prima non può esserci la seconda e senza la seconda non c’è la terza”. Chissà come è arrivata fino in Myanmar!
(Un lettore dal Myanmar)
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