“Prof sono Alessandro! Si ricorda di me? Sono stato suo allievo per tanti anni”. Quanto è stato umanamente potente il tentativo di Alessandro, il poliziotto che ha praticamente salvato la vita della sua ex insegnante in procinto di suicidarsi rievocando in lei la memoria di una relazione importante e decisiva per lui. Con quell’appello al rapporto tra di loro, pur vissuto tanti anni prima, ha ridonato alla sua vecchia prof il senso e la dignità della sua vocazione, l’ha fatta risentire viva, oggetto di un’affezione inaspettata ma capace di arrestare, per il tempo necessario ai soccorsi, quel senso di inutilità e disperazione che la stava possedendo in quei momenti.
Lo ha fatto nel modo più semplice e geniale: ha ricordato che la sua ex insegnante era un’avvocata – perché la memoria ricorda tutto di chi si stima – e le ha chiesto aiuto, come avrà fatto a scuola tante volte, forse. In pratica, Alessandro si è riproposto come alunno alla sua vecchia prof, come se non fosse passato neanche un secondo nel tempo, come tanto tempo fa, quando erano in aula. Ma l’insegnamento vero è una relazione significativa che sfida il tempo, perché ha a che fare con il destino.
E comunque la prof di Alessandro, allora, non deve essere stata proprio una mammola con lui e i suoi compagni: “ho riconosciuto quella voce, la stessa di quando in classe ci sgridava” ha detto Alessandro.
Che cosa paradossale e, per questo, affascinante l’insegnamento! Ciascuno di noi, credo, se chiude gli occhi e si concentra un po’, può meglio ricordare proprio le voci di quei prof che non hanno mollato mai con noi, non arretrando di un millimetro di fronte alle nostre immature coscienze, la nostra ignoranza della realtà, i nostri infantili capricci, la nostra fragile e ambigua sensibilità, ma richiamandoci costantemente all’impegno della nostra ragione e della nostra libertà, senza concedere sconti. Di questi insegnanti ricordiamo tutto, i nomi, le loro origini, la loro storia, ciò che li interessava e appassionava, la musica che gli piaceva e quella che non sopportavano, i libri amati, i tic, gli scatti un po’ folli, le debolezze.
Qual era il loro segreto? Perché, a differenza della maggioranza dei docenti che non hanno lasciato traccia nella nostra vita, quelli ci sono rimasti talmente nel cuore che ancora oggi, se entro in una libreria o vado al cinema, mi capita di pensare “cosa ne penserebbe il prof…”?
Probabilmente perché non erano preoccupati di insegnare bene usando le tecniche didattiche giuste o, ancora peggio, di portarci da qualche parte – ci sono stati anche questi e ci sono ancora, purtroppo – ma solo di condividere con noi ciò che per loro era “sacro”, cioè appartenente ad una dimensione “altra” dell’esistenza che rende questa degna di essere vissuta, significativa, dotata di un senso, appunto. Questa era la loro “missione”, a questo si sentivano chiamati. Per questo si lasciavano amare dai loro studenti, “addomesticare” – come direbbe la volpe – permettendoci di entrare nella loro vita con gradualità e discrezione, per amore a noi, non per possederci, ma per essere nostri amici per tutta la vita.
Alessandro, il giovane poliziotto, ha detto della sua prof che “era una insegnante molto autorevole” e in quest’ultima parola c’è tutto quello che ho cercato di dire: una che fa crescere perché comunica con il suo essere la sua coscienza della realtà e del destino. Alessandro l’ha trattata dopo tanti anni come lei ha fatto con lui in passato, le ha ridato vita perché le ha ridestato quel senso che ha imparato da lei, lo ha rigiocato, rischiato con lei, dimostrando così di essere ormai un adulto responsabile verso la realtà e consapevole del suo lavoro. In questa circostanza è stato lui l’insegnante della sua prof. Ed è difficile pensare che il loro incontrarsi dopo tanti anni sia stata solo una coincidenza senza senso, uno scherzo bizzarro del destino.
Questa storia bellissima e commovente ci dice che si può diventare grandi se si incontrano persone certe, libere, appassionate alla loro vita e disposte a lasciarsi amare e seguire. Ce ne sono ancora di adulti così? Io penso di sì, più di quanto se ne possano immaginare; basta cercare.
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