Lo psichiatra e sociologo Paolo Crepet a brevissimo tornerà in libreria con la sua ultima fatica – il libro ‘Mordere il cielo, dove sono finite le nostre emozioni’ – e per l’occasione è tornato a parlare sulla Stampa (nell’inserto Specchio) di quei temi che da sempre nella sua lunga carriera gli sono cari, a partire da una pedagogia che sembra aver perso il senso si se stessa, fino ad arrivare ad una generazione che non sa più come rapportarsi con i propri figli in un tentativo (forse effimero) di creare un mondo a loro misura. Proprio da quest’ultimo punto parte Paolo Crepet, ricordando che quando era piccolo lui c’era “la signora Petunia” che ogni volta che incontrava i bambini “[ci] diceva: ‘Badatevi’” e seppur all’epoca ridesse di un invito così singolare oggi confessa di trovarlo “di un’eleganza educativa strepitosa: io non ti bado, tu devi badare a te stesso e lo devi anche fare adesso”.
Un semplice invito che “è l’opposto della volgare educazione contemporanea dove io ti faccio lo zainetto (..) perché sei un cretino [e] chissà cosa ci metti dentro”; ma anche dove “la mamma, il papà, la nonna, tutta la banda [va] ad accogliere il liceale che se no da solo arriva in Papuasia invece che a casa. Se io non sono capace di tornare a casa – riflette ancora Paolo Crepet – devo pensare qualcosa di brutto di me, e invece questa cosa è diventata di senso comune”: un atteggiamento che ritiene “terrificante”.
Paolo Crepet: “Oggi i genitori vogliono sentirsi troppo simili ai loro figli”
Tutto il pensiero di Paolo Crepet si può sintetizzare con la frase – che lui stesso usa nella sua intervista -: “La buona pedagogia deve essere politicamente scorretta” perché a volere scuole, case e città in cui i bambini non si facciano mai male e non sono liberi di giocare, finisce che “tu non insegni [loro] a perdere”. Ma a ben guardare, riflette il sociologo, il problema del non saper perdere vale tanto per i bambini quando “per i quarantenni [che] se finisce un amore è la fine della vita. La mia preoccupazione – sintetizza abilmente come sempre da Paolo Crepet – è questa neutralizzazione emotiva che noi in maniera cocciuta stiamo realizzando”.
Tornando indietro con la mente un’altra volta ricorda le enormi differenze che intercorrono tra i suoi genitori – “mio padre rideva di me [e] non sapeva neanche dove fosse il mio liceo” – e le nuove leve genitoriali che “frequentano lo stesso bar [dei figli], si mettono jeans tagliati e vanno all’occupazione del figlio perché sono eternamente innamorati di se stessi”; tanto che secondo Paolo Crepet “tra una mamma di 50 e il figlio di 25 non c’è più nessuna differenza“. Infine, in una sorta di – lo chiama così la giornalista che ha realizzato l’intervista – ‘test di Rorschach al buio’ il sociologo definisce come “terrificante” il registro elettronico – che è “la negazione a trovare per ognuno la possibilità di andare contro qualcosa” -; ma anche come “uno stato meraviglioso” l’ansia: “Tutto passa per l’amigdala, ce l’ha data la natura per avere paura, anche perché – conclude – se no avremmo avuto un rapporto friendly con i mammut”.