Partiamo dalla cornice e poi esaminiamo il quadro – soprattutto quello francese – che potrebbe delinearsi in Europa, con conseguenze difficili da immaginare.
A Bruxelles si discute e soprattutto si tratta sulla nuova governance europea. Fatto che non è mai semplice tra esponenti di 27 Stati diversi, per di più senza una Costituzione comune. I leader di questi Paesi si raggruppano in movimenti e componenti politiche storiche europee, come i popolari (PPE), i socialdemocratici (PSE), i liberali (Renew Europe) e i Verdi (Greens/EFA). Ma poi, nello stesso tempo. emergono nuovi gruppi legati a tradizioni di singoli Stati, che magari fanno riferimento a un gruppo politico tradizionale, e quindi, nel momento del voto in Parlamento per la presidenza della Commissione, si fanno influenzare o danno più peso a problemi di carattere nazionale, ribadendo anche in questo modo la mancata e reale integrazione europea.
Non si spiegherebbe altrimenti la votazione dell’ultima Commissione, passata per un pugno di voti e con più di 70 franchi tiratori. Oggi si può dire che, tra i 751 deputati eletti, si possono creare diverse maggioranze, e quella tradizionale, con i popolari primo partito, i socialisti al secondo posto, uniti ai verdi e ai liberali potrebbe ancora reggere con un margine di 45 voti di maggioranza.
Il fatto nuovo è che però al terzo posto nella graduatoria del Parlamento europeo si è inserto il cosiddetto Gruppo dei conservatori e riformisti (ECR), che è guidato da Giorgia Meloni e che non ha un curriculum che risale a sinistra o al centro, ma affonda le sue radici nei lenti cambiamenti avvenuti in questi anni della destra italiana e che è spesso collegata con altri gruppi di destra europei.
Questo è già un fatto problematico nel momento in cui si ripropone una riedizione della cosiddetta “maggioranza Ursula”, cioè della vecchia maggioranza che ha nominato a presidente della Commissione Ursula von der Leyen. Ma e soltanto un primo problema.
Chiamiamolo pure un momento di discussione di carattere politico per uno spostamento a destra a cui nessuno forse credeva, ma che c’è indubbiamente stato, e quindi pone la questione dell’ingresso nella maggioranza di un movimento che al momento è al governo di un Paese – l’Italia – fondatore dell’Europa.
Ma l’ingresso nella maggioranza del movimento di Giorgia Meloni, con un importante commissario italiano, trova il rifiuto dei socialisti, che, tra l’altro, particolarmente in Germania, con il cancelliere tedesco Olaf Scholz hanno raccolto, malgrado la lunga tradizione socialdemocratica post-bellica, meno voti del partito (giudicato filonazista) di AfD, che si è piazzato dietro ai popolari.
Se si considerano questi fatti oggettivi, emersi dalle ultime elezioni, e il tramonto di quello che si chiamava l’asse franco-tedesco, si entra già, oggettivamente, in un incubo reale sul futuro dell’Europa.
Ma questo incubo è diventato incombente, si è ampliato ed è diventato più grave per il risultato che si verificato in Francia dopo che Marine Le Pen è uscita vincitrice indiscussa dalle elezioni europee dell’8 e 9 giugno, prendendo più del doppio dei voti del partito del presidente Emmanuel Macron, che qualcuno ha cominciato impietosamente a chiamare “micron”. In più, la stessa sinistra, che in Francia ha una grande tradizione, è di diversi punti dietro a Marine Le Pen, con i leader socialisti che si attaccano a vicenda.
È ritornato in pista pure François Hollande, che cerca di contrastare con tutti i mezzi possibili la destra, ma non risparmia critiche al possibile alleato socialista Jean-Luc Mélenchon. Ha ottenuto un discreto risultato Raphaël Glucksmann, il figlio di André, uno dei “nouveaux philosophes” che denunciarono il comunismo negli anni Settanta. Ma anche Glucksmann figlio, pur comprendendo la battaglia da fare contro la destra, non risparmia critiche a Mélenchon.
Allora quale è l’ampiezza del vero incubo che grava sopra il futuro dell’Europa?
Considerando un generale spostamento a destra, la volontà dei popolari (che sono cresciuti) di controllare comunque la governance europea, non c’è dubbio che la sorpresa francese può condizionare, proprio come un incubo, la politica europea dei prossimi tre anni.
L’irritazione di Macron di fronte al risultato non ha ispirato al presidente un’inversione radicale della sua politica di questi anni, che è stata continuamente contestata da manifestazioni quasi quotidiane. L’inquilino dell’Eliseo ha reagito duramente e seguendo regole rigide della Costituzione francese ha sciolto l’Assemblea nazionale, sapendo che è il Presidente della Repubblica che detta alla fine la politica francese e quindi ha indetto elezioni per un nuovo governo, sostenendo che con qualsiasi risultato resterà all’Eliseo.
A questo punto, si possono presentare tre scenari in Francia. Macron riesce a trovare, con l’appoggio dei socialisti e della sinistra francese, una maggioranza, che non al primo, ma al secondo turno (è il sistema elettorale francese) non scatena una “guerra” tra il governo e il Presidente della Repubblica.
Il secondo scenario potrebbe determinare invece un’incertezza di fondo, con i socialisti e Macron ancora vincitori, ma divisi sulle riforme da attuare nel giro di tre anni e magari indotti a varare una politica estera che entrasse in contrasto con l’atlantismo. La Francia entrerebbe in uno stato di instabilità che avrebbe il suo peso anche sulla Commissione europea.
Infine, terzo scenario: Marine Le Pen, che oggi è valutata dai sondaggisti al 35%, potrebbe riuscire a trascinare nel suo campo gran parte dei nostalgici della “grandeur” gollista e così vincerebbe le elezioni. A questo punto la situazione francese ed europea diventerebbe non solo un incubo, ma un rebus pericoloso.
Per dare uno sguardo alla storia molto rapidamente, si potrebbe dire che la Francia, pur avendo avuto grandi europeisti come Schuman e Delors, farebbe cadere per la terza volta in uno stato di grande incertezza l’Unione Europea.
Tanto per ricordare. Negli anni Cinquanta, fu la Francia a opporsi alla difesa comune per diffidenza contro la Germania e quindi a condividere una politica di difesa comune con uno Stato che dal 1870 al 1945 era stato in guerra. Nel 2004 fu la Francia a non votare la Costituzione europea e quindi a rinviare inevitabilmente l’integrazione politica europea.
La svolta a destra di oggi metterebbe in discussione la stessa storia dell’Europa dall’ultimo dopoguerra ai giorni nostri, perché un paese fondatore come la Francia, che siede pure nel Consiglio di sicurezza dell’ONU, si distinguerebbe troppo dal resto dell’Europa.
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