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Nei giorni drammatici del conflitto tra Israele e Hamas è di grande attualità e insegnamento la pellicola Tatami – Una donna in lotta per la libertà, presentato alla Mostra del Cinema di Venezia 2023 e codiretto dalla regista-attrice iraniana Zahra Amir e dal regista israeliano Guy Nattiv.
Al di là della storia vera, a cui si ispira il lungometraggio, sorge spontanea una domanda: com’è possibile che due cittadini di Paesi così diversi e in conflitto (sappiamo che l’Iran sostiene Hamas contro Israele nella guerra in corso dopo il tragico attentato del 7 ottobre scorso) possano collaborare in campo artistico, dimostrando che l’inimicizia non può e non deve essere l’ultima parola sul rapporto tra due popoli? La risposta ci viene dagli stessi due cineasti.
“Negli ultimi decenni, il Governo iraniano ha fatto tutto quanto in suo potere per impedire a iraniani e israeliani di incontrarsi in occasione di eventi internazionali, senza tenere in considerazione la realtà dei veri sentimenti delle persone. Nonostante questo abbiamo trovato un modo per riuscirci”. Zahra e Guy hanno infatti unito le forze a due ore di distanza da Tel Aviv e da Teheran lavorando insieme a Tbilisi, in Georgia, dove hanno ambientato la storia di sofferenza e di libertà delle coraggiose atlete iraniane. La vicenda si svolge durante i campionati mondiali di judo femminile, in un anno imprecisato dell’età contemporanea e il titolo del film, Tatami, si riferisce alla pedana su cui si svolgono i combattimenti (il termine giapponese significa letteralmente stuoia). Ma anche chi non ama particolarmente questo sport non sarà deluso dalla storia della promettente e determinata judoka iraniana Leila Hosseini, girata come un thriller con un ritmo serrato e volti intensi in primo piano, in un nitido e insieme inquietante bianco e nero.
Perché mai la giovane sportiva in forma straordinaria, che batte le avversarie una dopo l’altra grazie alla sua concentrazione e al sostegno del marito, del figlioletto e degli amici che la seguono con entusiasmo da casa, non dovrebbe vincere? La risposta è in una strana telefonata che arriva dalla federazione iraniana di judo alla sua tenace allenatrice Maryam (impersonata magistralmente dalla stessa regista Zahra Amir). Il regime fa sapere che rifiuta di accettare la possibilità che Leila, nella finale, debba condividere il tatami con l’israeliana Shani Lavi, anch’essa possibile candidata alla medaglia d’oro. L’allenatrice e amica di Leila non vorrebbe cedere alle pressioni della Repubblica Islamica, ma sa per esperienza che la disobbedienza in Iran si paga cara. Tenta perciò di dissuadere dal proseguire la sfida mondiale la sua connazionale, che però non si ferma e continua a raccogliere successi.
È chiaro che Leila non intende affatto ritirarsi dalla competizione, tanto meno fingendo un infortunio per abbandonare i mondiali, come suggerisce lo spietato regime, alla faccia dello spirito sportivo. La campionessa non può certo dimenticare i sacrifici e l’impegno assoluto, accompagnato da una passione profonda e una grande tecnica, che hanno segnato gli anni della sua preparazione all’evento più importante della sua carriera. E capisce molto bene di essere sottoposta a un ricatto che stravolge il mondo sportivo e i suoi valori di lealtà e confronto libero, avvolgendolo nelle maglie inesorabili delle strategie ideologiche e politiche.
La lotta fisica si trasforma così per il regime in lotta politica e cancella ogni aspirazione personale, non solo nello judo, coinvolgendo nella minaccia anche la famiglia dell’atleta e gli affetti più cari. Leila non vuole cedere, ma che sarà di lei, di suo marito e del suo bambino se non si piega? Tra le palestre degli allenamenti e l’oscurità dei bagni e dei corridoi, si svolge con implacabile crudeltà tutto il dramma della scelta della giovane donna, che deve maturare la sua difficile e dolorosa decisione. Per la tensione sbatte ripetutamente la testa contro uno specchio procurandosi una ferita sulla fronte. Ma continua i combattimenti protetta dal suo hijab nero, che però dovrà togliere con coraggio inaudito per farsi medicare durante una gara, quando il sangue colerà sul suo bel volto teso e concentrato, oscurandole la vista.
Leila proseguirà la gara a testa scoperta, proprio come le impavide manifestanti dei cortei del suo Paese, che negli ultimi anni hanno osato compiere quel gesto in nome della libertà. In realtà, il pubblico delle gare di Leila non si vede mai, perché siamo noi gli spettatori dei suoi incontri combattuti e vincenti, coinvolti in un tifo per lei che diventa metafora della nostra condivisione profonda della sua lotta per la libertà, che è la stessa di tutti coloro che si ribellano alle imposizioni della Repubblica Islamica.
Il finale di Tatami non è scontato, rispettando così le regole di un buon thriller. Ci rivela un’atleta che oltre che sportiva è moglie e madre, e proprio da questi ruoli ricava la sua forza.
I due artisti, l’israeliano e l’iraniana, che hanno voluto girare insieme questo film, grazie al cinema hanno potuto condividere sentimenti, sofferenze e aspirazioni, anche se ambedue vivono lontano dal loro Paese, lei in esilio a Parigi, mentre lui per scelta in America. Sanno bene che “troppi artisti e atleti a causa di conflitti tra sistemi e Governi” sono stati costretti a lasciare la loro terra. Perciò il loro messaggio vuole essere proprio questo: “L’umanità e la fratellanza vincono sempre”. Zahra Amir e Guy Nattiv desiderano, infatti, che la loro collaborazione cinematografica e artistica “possa essere un tributo a quegli artisti e a quegli atleti e a tutte le persone che si battono per guardare al di là della frenesia dell’odio accecante e della reciproca distruzione e che, nonostante tutti gli ostacoli, costruiscono insieme un futuro”. L’unico invito sensato in un mondo oggi sull’orlo del baratro.
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