Era il 19 aprile scorso quando il Presidente boliviano, Luis Arce, ha denunciato come alcune potenze e un Paese vicino cercano di controllare le risorse naturali della Bolivia, come il litio, escludendola dai processi di vie di comunicazione strategiche.
Fast forward all’oggi, ecco che tornano i golpe a telecomando in America Latina. Qualcuno a Langley deve aver ripreso in mano il playbook degli anni Settanta e Ottanta. Oppure no? Quando pronunciò quelle parole, infatti, non a caso Arce lo fece di fronte ai cadetti dell’Accademia militare a La Paz: La Bolivia è diventata un punto di interesse per le potenze mondiali. Così come per un Paese vicino che cerca di controllare le nostre risorse strategiche, bloccando le nostre esportazioni e non rispettando fra l’altro il Trattato del 1904 fra Cile e Bolivia che pose fine alla guerra. Il capo dello Stato invitò quindi i cadetti a formarsi alla difesa della sovranità e dell’integrità territoriale, ricordando come la Bolivia disponga di risorse naturali strategiche come litio, terre rare e acqua dolce, essenziali per lo sviluppo tecnologico ed economico del mondo. Infine, l’accusa più netta e diretta: Si intende subordinarci a progetti geopolitici come il “Piano Capricorno”, escludendoci dalla costruzione di vie di comunicazione strategiche e cercando di balcanizzarci o mostrarci come uno Stato fallito.
Cosa sia il Piano Capricorno è presto detto: si tratta di un corridoio bio-oceanico che attraversa Brasile, Paraguay, Cile e Argentina e comprende porti sia nell’Atlantico che nel Pacifico. La Bolivia, inizialmente parte del progetto, fu in un secondo tempo esclusa. Peccato che il medesimo Paese possa contare su riserve di litio per 21 milioni di tonnellate nelle saline di Uyuni, Coipasa e Pastos Grandes. Ma soprattutto, cosa è accaduto non più tardi del 7 giugno scorso? Il medesimo Luis Arce era in visita in Russia, dove ha incontrato il direttore generale dell’azienda statale Rosatom, Alexey Likhachev, con cui ha discusso di progetti nel nucleare e dello sviluppo industriale del litio boliviano. A riferirlo lo stesso Arce con un post su X: Abbiamo fatto progressi in progetti importanti di cooperazione bilaterale nell’ambito nucleare e nello sviluppo industriale del nostro litio per generare energia pulita, si leggeva nel testo.
Ma non basta. Arce si trovava in Russia in occasione del Forum economico internazionale di San Pietroburgo (Spief), a margine del quale, il Presidente boliviano ha incontrato l’omologo russo, Vladimir Putin, con cui ha discusso di potenziare le relazioni commerciali bilaterali. Ma ancora non basta. Perché per capire chi possa aver armato la mano del generale Zuniga, una sorta di Ugo Tognazzi ne Vogliamo i colonnelli! e reso volutamente assordante il tintinnar di sciabole nel Paese sudamericano, ecco che occorre andare indietro di un anno. Esattamente il 30 giugno del 2023, quando Cina e Russia resero nota la loro intenzione di investire 1,4 miliardi di dollari in progetti legati al litio in Bolivia, metallo cruciale per le batterie dei veicoli elettrici.
La cinese Citic Guoan e la russa Uranium One Group, entrambe con una forte partecipazione statale, collaboreranno con Yacimientos de Litio Bolivianos (YLB) per installare due impianti di carbonato di litio, dichiarò il Presidente, Luis Arce, nel corso di un evento pubblico. Alla firma dell’accordo erano presenti rappresentanti boliviani, cinesi e russi delle tre società. A gennaio 2023, il governo di Arce ha firmato un altro accordo con il consorzio cinese Catl Brunp & Cmoc (CBC) per l’installazione di due impianti di batterie al litio. A sua volta, CBC ha promesso un investimento di almeno 1 miliardo di dollari. Stando a fonti del Governo boliviano, Uranium One Group investirà 578 milioni di dollari in un impianto nelle saline di Pastos Grandes e la cinese Citic Guoan 857 milioni di dollari in un secondo impianto a nord delle saline di Uyuni, entrambi nel dipartimento andino sud-occidentale di Potosì. Il ministero degli Idrocarburi e dell’Energia ha affermato in un comunicato che ciascuno dei complessi avrà la capacità di produrre fino a 25.000 tonnellate all’anno. E la costruzione degli impianti è partita a tempo di record già lo scorso autunno.
Il ministero degli Idrocarburi ha riferito nel gennaio 2023 che entro l’anno prossimo prevede di esportare 5 miliardi di dollari di litio, il che supererebbe i suoi proventi derivanti dal gas naturale, a sua volta capace di generare nel 2022 ricavi per 3,4 miliardi di dollari. E, soprattutto, attualmente la principale fonte di introito del Paese. Ora, al netto del fatto che il golpe sia stato organizzato seguendo le istruzioni del Lego e che siano stati gli stessi militari ad arrestare i due graduati a capo del colpo di Stato, sorge una domanda. Che dite, forse per una volta il golpe non è stato ordito da chi vuole destabilizzare, ma da chi vuole consolidare il nuovo equilibrio, di fatto proclamando tana alla strategia consolidata degli Usa in America Latina di fronte al mondo intero?
In tal caso, si chiamerebbe false flag. E invierebbe un segnale molto chiaro agli Stati Uniti, mai come oggi in mano a un Deep State non esattamente lucidissimo: dopo l’Africa, Cina e Russia puntano al loro giardino di casa. Per garantirsi quelle materie prime strategiche da cui dipende il destino reale e macro di quella bolla tech/AI che per ora gli Usa stanno sfruttando unicamente a livello finanziario. E per quanto né Mosca, né Pechino siano benefattori, probabilmente nel mondo meno fortunato si preferisce un colonizzatore che realizza infrastrutture e garantisce sviluppo e lavoro, piuttosto che un sobillatore di latifondisti e gruppi paramilitari. Non a caso, in Kenya chi protesta contro l’aumento delle tasse e lo fa in modo talmente determinato da obbligare il Presidente a non controfirmare la legge, lo fa sventolando la bandiera russa. Le foto lo testimoniano.
Un altro Niger? Attenzione, se così fosse, giova ricordare come non più tardi del mese scorso Joe Biden abbia definito proprio il Kenya il più fidato alleato Usa nell’area. Tutt’intorno, un’Europa che gioca coi fantasmi del fascismo. Meritiamo la colonizzazione, tocca prenderne atto.
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