Alla fine, tutto torna. L’articolo di oggi sarà più breve del solito. Di poco, a dire il vero. Perché tutto quando andava detto, è già stato detto. Ora occorre soltanto mettere in fila, unire i puntini. E prendere atto.
La Commissione Ue è nata in base ai desiderata delle élite politiche, di fatto facendosi platealmente beffe del risultato elettorale. Il quale, occorre essere onesti, certificava che un elettore su quattro aveva votato per le forze che possiamo definire sovraniste. Non certo un plebiscito bulgaro. Ma, detto questo, riproporre Ursula von der Leyen a capo del Governo europeo, oltretutto con una responsabile della politica estera che più russofoba non si può, equivale a uno spot in favore dell’astensione. E un suicidio annunciato. Non fosse altro perché, a tempo di record e prima di dire addio alla sua poltrona, Josep Borrell ha sentito il bisogno di comunicare che già la settimana prossima verranno sbloccati verso Kiev i primi 1,4 miliardi frutto degli utili maturati dagli assets russi congelati. Difficilmente Mosca non reagirà. Ma, appunto, tutto questo era noto. O, quantomeno, il 90%.
Ciò che tutti fingono di non vedere è l’agenda nascosta. Anzi, parallela. La quale in questi due giorni ha visto la Cancelleria di Olaf Scholz ottenere tutto ciò che voleva per tacitare un malcontento interno che rischia di mandare il Paese al voto anticipato, in caso le regionali dell’autunno punissero Spd e Verdi come le Europee. Dopo quanto scritto l’altro giorno, quindi l’ottenimento da parte degli sherpa teutonici della cancellazione di ogni riferimento a emissioni di debito comune, financo quello per la difesa che la stessa Ursula von der Leyen ha furbescamente quantificato in 500 miliardi in 10 anni con la scusa della Russia, ecco il vero segnale di allarme rosso.
Mentre a Bruxelles andava in scena il biscottone fra Popolari e Socialisti e Giorgia Meloni pativa una sconfitta politica a dir poco cocente, il nostro spread subiva un’impennata pomeridiana apparentemente senza ragione. Ma netta. Drastica. Tipica di quegli annunci della Bce che spazzano via le aspettative di nuovo sostegno, inaspettatamente. Ma Christine Lagarde, ringraziando il Cielo, tace da qualche tempo. Cos’è accaduto, allora? Questo. Parlando a un evento organizzato dal prestigioso IFO Institute a Monaco di Baviera, il ministro delle Finanze tedesco, il liberale Christian Lindner, ha voluto mettere platealmente in chiaro quale sarà il nuovo approccio tedesco alle politiche monetarie e di espansione fiscale europee. Il suo messaggio in vista del voto francese di questo fine settimana è di quelli che non lascia spazio all’interpretazione: se l’esito delle urne al primo turno dovesse innescare una sell-off sui titoli di Stato francesi, la Bce non dovrebbe intervenire per calmierarne lo spread rispetto ai Bund pari durata. Questo perché si configurerebbero questioni di ordine sia economico che costituzionale. Tradotto, fine dei giochi per quanto riguarda gli acquisti diretti di debito. E la manipolazione da detenzioni – de facto – condivise, poiché in totale deroga della capital key.
La Germania utilizza lo storico alleato renano per decretare la fine dell’emergenza pandemica. E questo significa una cosa sola: il reinvestimento titoli che qualcuno vorrebbe decisamente lento e graduale, a partire dal prossimo gennaio, rischia invece di partire con il medesimo passo da scattista impresso dalla Fed nei primi mesi del Qt. Detto fatto, il nostro spread ha conosciuto il primo, vero movimento al rialzo da timore reale di mercato. Lo scossone da repricing, insomma. Christian Lindner, colpendo Parigi, di fatto puntava al rimbalzo del proiettile. Così da poter ammazzare le pretese di sostegno europeo del Mef, invocando però il danno collaterale da fuoco amico. Al massimo, l’omicidio colposo. Certamente non premeditato. Ma tale è.
L’esito elettorale per la Spd è stato devastante. E il passo da panzer utilizzato dalla diplomazia tedesca negli ultimi dieci giorni ha parlato chiaro. Fuori ioco Emmanuel Macron per cause di forza maggiore interne e venuta meno l’unica mediazione cui Berlino deve prestare attenzione, la Cancelleria tedesca ha operato un blitz con cui ha tolto dal tavolo di discussione ogni residuo di mutualità. Giorgia Meloni lo sa. Ma ancora di più, Giancarlo Giorgetti. Invitando la Bce a non tamponare eventuali fiammate sugli Oat, il ministro delle Finanze tedesco ha di fatto imposto il nein tedesco a qualsiasi possibile prosecuzione di misure ritenute emergenziali. E l’aver nominato chiaramente le potenziali questioni costituzionali legate a una mossa pro-Oat dell’Eurotower, di fatto ci dice che Berlino è pronta a rimettere in campo lo spauracchio dilatorio della Corte di Karlsruhe. Magari nella certezza di una sentenza che metta in discussione l’intero impianto del programma di acquisto pandemico (Pepp) e, in tal modo, ottenga il risultato sperato: un Qt delle detenzioni reinvestite più rapido e drastico. Tradotto, spread italiano alle stelle.
Nessuno ha sottolineato queste cose. Tutti a parlare di caminetti e comitati politici ristretti. Nessuno che si rendesse conto della silenziosa ma devastante Blitzkrieg messa in campo dagli sherpa tedeschi. E completata con fin troppa chiarezza e pubblica minaccia dal ministro delle Finanze in persona.
Stavolta la ricreazione è davvero finita. Perché alle parole, stanno seguendo in rapida successione i fatti. Come certificato da quel movimento dello spread. Colto di sorpresa. E senza sostegno. Come rischia di dover operare il Mef dall’inverno in poi. In mare aperto.
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