La parola “sostenibilità” è ormai entrata stabilmente non solo nelle strategie delle imprese, ma anche nell’evoluzione delle normative che accompagnano la dinamica dei sistemi politici e sociali. Con l’emergenza ambientale in primo piano, ma parallelamente con la necessità di allargare lo sguardo anche agli altri due parametri che contraddistinguono le regole ESG (Environment, Social, Governance).
La dimensione sociale e le regole che guidano le organizzazioni pubbliche e private divengono così degli elementi essenziali con quelli che potremmo chiamare gli obiettivi multipli di ogni azione individuale e collettiva. Obiettivi di rispetto e difesa dell’ambiente, ma anche e insieme di crescita sociale, di equità, di promozione dello sviluppo umano e di tutti i traguardi raccomandati dall’Agenda 2030 lanciata dall’Onu orami nove anni fa e approvata da 193 Paesi come programma d’azione volto a promuovere il benessere delle persone, la salvaguardia del pianeta e la prosperità negli anni a venire.
Si potrebbe dire che la sostenibilità è il lato positivo della modernità. È una spinta all’innovazione, ma nella consapevolezza che è necessario valutare passo dopo passo le ricadute delle scelte che si possono compiere. Anche nell’ambito delle imprese una politica di sostenibilità fa crescere la motivazione dei collaboratori e rende migliore la governance aziendale: sollecitando un impegno verso gli obiettivi, anche etici, dell’impresa superando la vecchia logica del rispetto formale delle mansioni.
Ma l’evoluzione delle politiche di sostenibilità ha spesso trovato molta sabbia negli ingranaggi. Lo dimostra l’attualità del libro di Paolo D’Anselmi pubblicato nel 2008 e riproposto oggi come seconda edizione. Con un titolo articolato ed esplicito (“La sfida della responsabilità sociale d’impresa oltre l’indifferenza”, Ed Cacucci, pagg. 320, € 19) così come criptico e intrigante era il titolo della prima edizione (“Il barbiere di Stalin: critica del lavoro irresponsabile”).
D’Anselmi, insegnante e consulente di management, in particolare sul fronte delle pubbliche amministrazioni, riprende così la provocazione della prima edizione: il barbiere di Stalin fa solo il suo dovere con competenza e responsabilità, ma anche senza volerlo, sostiene l’immagine del dittatore e questo lo rende in qualche modo complice della sua politica e delle sue malvagità.
Ecco il messaggio: siamo tutti in qualche modo responsabili soprattutto in questa società fortemente interconnessa in cui i riflessi delle nostre azioni si possono moltiplicare in maniera imprevedibile. Non possiamo mettere in secondo piano il fatto che viviamo in mondo in cui rischiamo di guardare con distacco alle tragedie quotidiane dei morti sul lavoro, delle vittime degli incidenti stradali, della dispersione e della perdita di valori dei giovani.
Il cammino per una responsabilità sociale vera delle imprese e delle persone è certamente ancora lungo. Se uno dei passi è il prendere coscienza dei problemi e delle opportunità, al di là degli obblighi formali, allora questo libro può costituire un utile motivo di riflessione.
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