Se in Francia solo domenica si chiarirà la situazione, in Europa le cose proseguono apparentemente con speditezza: PPE, PSE e liberali – nonostante le diffuse batoste elettorali – continuano a tenere il pallino, ostentando sicurezza e gestendo le nomine importanti mediante lo storico aggancio a sinistra piuttosto che aprendo ai conservatori (ECR) della Meloni.
Tutto legittimo, vista la forza apparente dei seggi, salvo che, alla prima imboscata di franchi tiratori, la von der Leyen si trovi colpita ed affondata, con la consapevolezza che comunque – passasse anche la sua nomina – l’europarlamento potrebbe bocciare durante la legislatura buona parte delle proposte della Commissione.
Questo perché il cardine dell’alleanza è il Partito popolare europeo (PPE) che al suo interno è composto di una moltitudine di gruppi, sottogruppi, tendenze e singoli battitori liberi che tengono di più al proprio e personale elettorato che alle ubbie della Commissione, soprattutto quando diventassero un tacito “grazie” a verdi e sinistra.
Il problema cresce – ed in Italia sta diventato purulento – quando all’interno del PPE vi siano poi gruppi politici che a casa propria appoggiano governi con maggioranze diverse e contrapposte da quelle di Bruxelles.
Il caso evidente è quello di Forza Italia, che non solo è sponsor della Meloni, ma addirittura esprime il ministro degli Esteri nella persona del suo leader Antonio Tajani, navigatore di lungo corso e primo erede del fu cavalier Berlusconi.
Tajani si trova ora in obiettiva difficoltà, perché nello stesso tempo tiene il piede in due scarpe, ovvero in due maggioranze diverse e per certi versi sempre più contrapposte tra loro. Posizione che si farebbe critica soprattutto se in Francia uno degli sponsor più importanti del governo europeo, ovvero Macron, fosse definitivamente affondato in casa propria domenica prossima.
Oggi Tajani è di fatto portavoce della premier in Europa, ma anche suo avversario europeo; deve difendere l’Italia ma al tempo stesso garantire – da buon popolare – i voti di FI a von der Leyen, sapendo che, se venissero a mancare, Ursula sarebbe ancor più in difficoltà. Insomma, essere obbligato ad ostentare fedeltà a due padroni è un gioco sempre molto pericoloso.
Come ne uscirà? Ce lo dirà il futuro, con l’impressione però che non sapremo mai la verità, in quanto non potrà mai essere dichiarata (leggi astensione su Ursula); con la speranza che il “doppio gioco” di Tajani non faccia restare l’Italia con il cerino in mano e con la fondata accusa di essere diventato proprio lui, più o meno volontariamente, ma di fatto, sponsor del PD, che nel gruppo socialista europeo – e quindi nella Commissione – la fa da padrone e guida l’opposizione al governo di Roma.
A complicare il quadro va aggiunto il voto francese. Una vittoria della Le Pen potrebbe rafforzare la stessa Meloni, ma sarebbe difficile da far condividere con certe forti e recenti dichiarazioni di Tajani proprio contro la stessa Le Pen che – se comprensibili in chiave europea – diventerebbero però un rischio di pericoloso boomerang per la Farnesina.
C’è tuttavia anche un’altra interpretazione da valutare, e cioè che Tajani non stia facendo un po’ di doppio gioco d’intesa proprio con la Meloni in vista di diventare un sotterraneo pontiere che recuperi all’Italia qualche pezzo un po’ più pregiato all’interno dello scacchiere delle nomine europee.
Certamente se l’Italia venisse estromessa di fatto dai giochi importanti di Bruxelles, la posizione di Forza Italia e di Tajani si farebbe davvero difficile. Quindi hanno da sperare che qualcun altro tolga per loro le castagne dal fuoco, nel senso che se vincesse Le Pen, Forza Italia avrebbe allora più forza per chiedere meno aperture del PPE a sinistra.
Di sicuro è una posizione oggi ambigua e delicata. FI non potrà tirare troppo la corda senza dare indicazioni più chiare, perché altrimenti, alla lunga, lo stesso Tajani non poterebbe mantenere posizioni apicali di governo e di leader di un partito di maggioranza che a Bruxelles fosse invece schierato apertamente contro Palazzo Chigi.
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