È durata pochi mesi la collaborazione tra il boss Francesco Schiavone, noto come “Sandokan“, e la procura di Napoli: le sue dichiarazioni non sarebbero risultate utili e convincenti, quindi gli è stato revocato il programma di protezione ed è tornato al regime del 41 bis. Stando a quanto riportato dal Corriere della Sera, la notizia in realtà non sorprende, perché da settimane circolavano dubbi da parte degli inquirenti riguardo le intenzioni reali del boss, ora si apprende che il ministero della Giustizia, su richiesta dell’ufficio dei pm di Napoli, che è coordinato dal procuratore Nicola Gratteri, ha disposto il ritorno al 41 bis per Schiavone.
Il boss, chiamato Sandokan per la sua somiglianza con l’attore Kabir Bedi che interpretava il personaggio nella versione tv del libro di Salgari, è stato per anni a capo del clan dei “casalesi”, poi a fine marzo era diventato un collaboratore di giustizia: durante i negoziati per ottenere la protezione Francesco Schiavone aveva promesso delle rivelazioni, che ora si apprende non si sarebbero rivelate utili per i magistrati della DDA partenopea, che quindi ha deciso di metter fine alla collaborazione.
IL PENTIMENTO A MARZO E LE VOCI SULLA MALATTIA
L’apertura di Francesco Schiavone alla collaborazione con la giustizia risale ai primi mesi di quest’anno, quando comunicò alla Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli la volontà di fare delle rivelazioni. Una svolta, visto che è stato una figura apicale dei casalesi, quindi l’auspicio dei magistrati era di poter fare chiarezza su casi irrisolti tramite le sue rivelazioni, ma queste speranze non si sono mai concretizzare. Peraltro, la decisione di Francesco Schiavone di collaborare con la giustizia fu osteggiata dalla famiglia del boss dei casalesi e si erano diffuse le voci riguardanti l’ipotesi che fosse legata alle sue precarie condizioni di salute.
Infatti, era trapelato che Sandokan potesse essere stato colpito da un tumore, un male incurabile, una teoria che era stata suffragata anche dalla decisione di disporre il trasferimento dal carcere di massima sicurezza di Parma a quello dell’Aquila per sottoporsi alle cure nell’ospedale San Salvatore, concessioni che vennero fatte anche a Matteo Messina Denaro, morto in Abruzzo per malattia.