I riscontri dei pedaggi autostradali acquisiti attraverso il telepass installato sul mezzo aziendale possono essere utilizzati a tutti i fini connessi al rapporto di lavoro (e quindi anche ai fini disciplinari) soltanto “a condizione che sia data al lavoratore adeguata informazione delle modalità d’uso degli strumenti e di effettuazione dei controlli e nel rispetto di quanto disposto dal decreto legislativo 20 giugno 2003 n 146” in materia di privacy, come sancito dall’art. 4, comma 3, dello Statuto dei lavoratori (L. n. 300 del 1970). Lo ha stabilito la Cassazione con ordinanza n. 15391 del 3 giugno 2024.
Nel caso di specie, il datore di lavoro non aveva fornito la prova di aver rispettato gli adempimenti indicati nella disposizione citata. E allora la Corte di Appello di Ancona aveva dichiarato l’illegittimità del licenziamento intimato al lavoratore, non potendo avere alcun rilievo ai fini disciplinari i punti della lettera di contestazione che si fondavano sui riscontri dei pedaggi autostradali forniti dal telepass.
Nel rigettare il ricorso proposto dalla Società, la Corte di Cassazione osserva anzitutto che, al di fuori dei controlli c.d. difensivi, l’informativa prevista dall’art. 4, comma 3, dello Statuto dei lavoratori è necessaria per consentire al datore di lavoro di utilizzare ai fini disciplinari i dati forniti dal telepass. I “controlli difensivi” sono notoriamente quelli diretti ad accertare comportamenti estranei al rapporto di lavoro illeciti o lesivi del patrimonio e dell’immagine aziendale, e dunque non volti ad accertare l’inadempimento delle ordinarie obbligazioni contrattuali. Con la citata ordinanza n. 15391 del 3 giugno 2024, la Cassazione ricorda che, anche dopo la modifica dell’art. 4 st. lav. a opera dell’art. 23 del d.lgs. n. 151 del 2015, i controlli anche tecnologici posti in essere dal datore di lavoro, finalizzati alla tutela dei beni estranei al rapporto di lavoro o a evitare comportamenti illeciti, sono consentiti soltanto “in presenza di un fondato sospetto circa la commissione di un illecito” da parte del dipendente, purché sia assicurato un “corretto bilanciamento tra le esigenze di protezione di interessi e beni aziendali” e la tutela della “dignità e della riservatezza del lavoratore” e “sempre che il controllo riguardi dati acquisiti successivamente all’insorgere del sospetto“. Nel caso di specie, la Società non aveva nemmeno allegato che l’installazione dell’apparecchio telepass sull’autovettura aziendale utilizzata dal lavoratore per l’esecuzione delle proprie prestazioni rientrasse tra i c.d. controlli difensivi. La Corte di Cassazione ha quindi ribadito la necessità dell’informativa al lavoratore, ai sensi dell’art. 4, comma 3, dello statuto dei lavoratori.
La Cassazione ha poi condiviso il rilievo della Corte di Appello di Ancona secondo cui è da escludere che l’informazione già fornita al lavoratore per uno degli strumenti di lavoro consegnati sia sufficiente per tutti quelli ulteriori affidati al lavoratore, che, sebbene necessari per la prestazione lavorativa, ne permettono il controllo degli spostamenti: proprio in ragione dell’eccezionale deroga che la norma prevede in tema di utilizzabilità dei dati acquisiti con tali strumenti per tutti i fini connessi al rapporto di lavoro, è necessario che la condizione indicata dalla norma sia attuata per ciascuno strumento.
La Cassazione reputa poi irrilevante il fatto che i dati dei transiti autostradali non siano forniti direttamente alla Società dal dispositivo telepass installato sull’autovettura, ma vengano ricavati dal documento cartaceo allegato alla fattura mensile, che riporta il dettaglio dei consumi dei singoli apparati. Altrettanto irrilevante, secondo la Corte, è anche l’assunto della Società secondo il quale il dipendente avrebbe potuto disattivare il dispositivo telepass, “togliendolo dal parabrezza dell’autovettura e collocandolo in un cassetto o, più semplicemente, non utilizzando, al casello, la corsia munita di ricevitore ma una di quelle abilitate all’erogazione del tagliando e al pagamento manuale“. Per la Cassazione è di tutta evidenza che la teorica o concreta possibilità in capo al lavoratore di sottrarsi al controllo tecnologico a distanza della sua attività non può rendere utilizzabili i dati risultati da un tale controllo in ordine al quale il lavoratore non è stato previamente e adeguatamente informato “delle modalità d’uso degli strumenti e di effettuazione dei controlli“.
Da ultimo, la Cassazione reputa irrilevante, a fronte di quanto specificamente previsto dalla legge, “la consapevolezza del dipendente sulla presenza dell’apparato telepass sull’autovettura e sulle corrette modalità d’uso dello stesso“, essendo necessaria invece tale precipua informativa, della quale i giudici di secondo grado nella specie hanno constatato l’assenza.
È da segnalare che, soltanto qualche giorno fa, la Cassazione è nuovamente intervenuta sull’argomento con ordinanza n. 17008 del 20 giugno 2024. Nel rigettare il ricorso proposto dal lavoratore che si doleva di essere stato licenziato sulla base dei dati acquisiti occultamente dalla Società attraverso il telepass “integranti controllo a distanza vietati“, la Cassazione ha affermato che il divieto previsto dall’art. 4 dello Statuto dei lavoratori è “riferito esclusivamente all’uso di apparecchiature per il controllo a distanza e non applicabile analogicamente“. Con specifico riferimento al telepass, la Corte ha succintamente osservato che, trattandosi di un sistema radio-elettronico per il pagamento automatico del pedaggio autostradale idoneo a consentire di passare il casello senza doversi arrestare, “esso è pienamente utilizzabile, non essendo strumento di controllo vietato, ma un apparecchio montato sull’automezzo con la finalità detta e pertanto modalità (anche) di controllo organizzativo interno, nota al dipendente utilizzatore dell’automezzo su cui installato“.
Dunque: la questione rimane aperta.
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