Monsignor Carlo Maria Viganò ha tirato dritto dopo l’accusa di scomunica, neppure ora che è stato condannato dal Vaticano per scisma, al termine di un processo lampo, fa un passo indietro. Anzi, l’ex nunzio apostolico negli Stati Uniti, da anni protagonista di una battaglia contro Papa Francesco e la Chiesa cattolica, rilancia: vuole celebrare comunque la Messa. Ma già in questi giorni Viganò aveva rilanciato le accuse di eresia nei confronti di Bergoglio, parlando di una sentenza «già scritta». La pena gli impedisce di celebrare, oltre alla Messa, anche gli altri sacramenti, ma Viganò ha già lasciato intendere di non voler rinunciare, annunciando che continuerà a celebrare in particolare per amici e benefattori.
Comunque, sembra sempre più isolato, infatti, secondo quanto riportato dal Giornale, solo una piccola comunità di sacerdoti autodefinitisi «epurati da Bergoglio», che vivono in un eremo fuori Viterbo, seguono i suoi passi. Anche se non si sono dichiarati «scismatici» e restano fedeli alla Chiesa, hanno sposato la linea di Viganò, che sembra un’altra persona rispetto a colui che negli ultimi anni del pontificato di Benedetto XVI denunciava la corruzione in Vaticano.
MONSIGNOR VIGANÒ VERSO SANZIONI PIÙ GRAVI?
Al momento monsignor Viganò non sembra intenzionato a pentirsi dei suoi errori, che non riconosce come tali; quindi, il rischio è la dimissione dallo stato clericale. Ne parla monsignor Vittorio Gepponi, docente di diritto canonico alla Pontificia Università Antonianum e all’Istituto di teologia della vita consacrata Claretianum a Roma, oltre che vicario giudiziale del tribunale ecclesiastico interdiocesano umbro. «È evidente che nella perseveranza e nel pervicace disconoscimento dell’autorità e della comunione ecclesiale, non si possono escludere più gravi sanzioni», spiega nell’intervista rilasciata all’Avvenire. Il canonista cita il caso di don Minutella, dimesso dallo stato clericale dopo la scomunica per scisma ed eresia per le sue posizioni contro Papa Francesco.
Di sicuro, quello di Viganò è un caso diverso da quelli degli arcivescovi Lefebvre e Milingo. La stessa Fraternità San Pio X, fondata dal primo, prende le distanze, perché «monsignor Viganò fa una chiara dichiarazione di sedevacantismo. In altre parole, secondo lui, papa Francesco non è Papa». Per quanto riguarda, invece, Milingo, che aveva commesso delle infrazioni gravi alla morale cattolica, era stato prima sospeso per il matrimonio, poi scomunicato e infine dimesso dallo stato clericale.
IL RISCHIO DI NUOVE DIVISIONI NELLA CHIESA
Per lo storico Giovanni Maria Vian, ex direttore dell’Osservatore romano, la scomunica di Viganò rischia di allargare le divisioni nella Chiesa cattolica: «Il fatto rischia inevitabilmente di far riaccendere una crisi complicata e incresciosa che potrebbe inasprire le polarizzazioni e allargare le divisioni in una Chiesa che proprio non ne sente il bisogno». Ne parla in un’intervista a Libero, spiegando che la scomunica di Viganò potrebbe riattizzare «un fuoco quasi spento».
Per quanto riguarda la genesi di questo scandalo, ritiene che sia deflagrata con le accuse a Papa Francesco di essere stato a conoscenza degli abusi del cardinale americano Theodore McCarrick e di averli coperti, ma i dissidi in Vaticano erano cominciati con le denunce di corruzione che avevano sollevato contrasti e divisioni: da qui la decisione di nominarlo nunzio apostolico, quindi ambasciatore del Papa, a Washington, un incarico molto importante, eppure l’arcivescovo, come ricordato da Vian, visse la nomina come una sorta di rimozione, infatti dopo due anni è andato all’attacco di Bergoglio e iniziato la sua battaglia contro il Pontificato che ora rischia di avere pesanti conseguenze per lui e per gli equilibri all’interno della Chiesa cattolica.