Sanzioni e controsanzioni sono la conseguenza sul piano della guerra economica del processo di deglobalizzaizone conflittuale tra blocco dei regimi autoritari e quello delle democrazie. Da un lato, c’è la ricerca di un limite, sintetizzabile come sostituzione del decoupling da parte di un più selettivo derisking: un bipolarismo con confini economici troppo duri e generalizzati è pericoloso sia per il G7, sia per la Cina, ambedue densi di aziende globalizzate, Pechino con un enorme problema di sovracapacità che non le permette di ridurre l’export. Dall’altro, la tendenza prevalente sul lato dell’alleanza tra democrazie, spinta dall’America, è comunque di inasprire la deterrenza economica come strumento offensivo per bilanciare una postura solo difensiva (contenimento) sul piano del conflitto cinetico diretto.
In questo macrocontesto c’è il problema specifico di Germania e Italia, ambedue basate su modelli export-led, che hanno presenze industriali e finanziarie rilevanti nel blocco autoritario sempre più vulnerabili a restrizioni sanzionatorie e a controsanzioni. Per l’Italia il problema è più in Russia: circa 200 aziende italiane lì residenti via controllate locali. Per la Germania è più in Cina. Nel periodo 2014-2021 l’Italia ha subito danni notevoli alla sua economia per la riduzione dei flussi commerciali con la Russia, aumentati dopo la guerra aperta russo-ucraina dal febbraio 2022. La Germania molto di più e, dal 2017 (delibera bipartisan in America che la Cina è un nemico, oggi non modificata), con rischi crescenti per la sua posizione non facilmente smontabile in Cina.
Ciò spiega il tentativo della Germania di moderare i dazi europei (quelli americani al 100%) sull’importazione di auto cinesi nell’Ue di cui parte è tedesca. E spiega la pressione italiana per ottenere dall’Ue una compensazione per i danni subiti da sue aziende a causa di controsanzioni russe. Tale obiettivo è stato ottenuto nel recente 14° pacchetto Ue di sanzioni contro la Russia che le espande e indurisce facendo prevedere, appunto, un aumento delle controsanzioni russe verso europei.
Nei seminari in materia ho raffreddato i tanti industriali e politici italiani che invocavano la fine delle ostilità in Ucraina e la ripresa di relazioni con Mosca: la probabilità è bassa perché America e Ue non accetteranno la proposta russa di rendere l’Ucraina Stato cuscinetto fuori da Nato e Ue, pur perseguendo una tregua. Molti hanno reagito convinti che un eventuale vittoria di Donald Trump calmerebbe il fronte. Ma ho controreagito invitando a distinguere il linguaggio di campagna da futuri comportamenti reali: non è escluso che Trump possa chiedere a Mosca di rompere con la Cina, permettendo di circondarla, in cambio di concessioni sul fronte europeo, ma al momento è ipotesi troppo astratta.
In altri seminari con tematica globale dove gli esperti notavano l’inefficacia delle sanzioni contro un sistema sino-russo molto vasto e reattivo, citando la buona crescita economica della Russia, ho fatto notare che un’economia di guerra nel breve può dare tale risultato, ma nel medio tende a implodere. Inoltre, le sanzioni secondarie alla Cina in caso di aiuto bellico alla Russia hanno ridotto le relazioni sino-russe “aperte”, pur continuando quelle “chiuse”. In sintesi, le sanzioni hanno effetti.
In conclusione, tornando al problema italiano, è più realistico predisporre una sistema di compensazione finanziaria per le aziende controsanzionate in Russia, riesplorando l’impiego dei circa 300 miliardi circa sequestrati alla Russia e giacenti nell’Ue.
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