La tragedia e i lutti dell’attacco all’ospedale pediatrico più grande dell’Ucraina, l’Okhmatdyt di Kiev, rendono ancora più sofferta la preghiera interreligiosa per la pace promossa dal Mean (Movimento Europeo di Azione Nonviolenta) che si è svolta ieri in piazza Santa Sofia, nella capitale ucraina. Era il giorno di san Benedetto, patrono d’Europa.
“Con quell’attacco così evidente, ad un ospedale pediatrico, il Signore ha dato una possibilità, a tutti coloro che hanno coscienza, di capire che tipo di guerra è. La Russia deve fermare la guerra il prima possibile”, chiede, da Kiev, il nunzio apostolico della Santa Sede, mons. Visvaldas Kulbokas.
Guardiamo san Benedetto, è il suo appello: “Umiltà e preghiera producono miracoli”. Si rispetti il diritto umanitario, e si faccia la nostra parte: “non possiamo solo continuare a puntare il dito contro gli assassini”. I canali di dialogo devono rimanere aperti.
Monsignore, lei ha fatto visita all’ospedale pediatrico Okhmatdyt colpito da un missile russo. Si è fatto un’idea di come possono essere andate le cose?
Ci sono delle persone di mia piena fiducia che hanno visto la forma e la traiettoria del missile mentre si stava indirizzando contro l’ospedale. Altro che errore, altro che antiaerea.
Una tragedia così, nella quale a tanti piccoli innocenti viene tolta la vita, come interroga la sua coscienza di credente e di pastore?
Con quell’attacco così evidente, ad un ospedale pediatrico!, il Signore ha dato una possibilità, a tutti coloro che hanno coscienza, di capire che tipo di guerra è. Dal punto di vista morale è sufficiente una sola parola: da parte di chi sta conducendo questa guerra, cioè da parte della Russia, la guerra va fermata il prima possibile. Non aggiungerei altre disquisizioni, perché sarebbero tecnico-politiche, e diminuirebbero il valore dell’appello morale, che è inappellabile.
Il Papa ha auspicato “che si possano identificare presto percorsi concreti che mettano termine ai conflitti in corso”. Quella dei “percorsi concreti” è la via discreta, mai interrotta, voluta e percorsa dalla Santa Sede. Quali iniziative ci sono in questo momento, in proposito?
Se non ci sono risultati di tali iniziative, questo vuol dire che esse non sono sufficienti. Siamo pur sempre alla tappa di “tentativi di iniziative”, i quali per ora danno per unico riscontro la comprensione di che cosa non funziona, quale formato è impossibile, quali vie non sono aperte. Cioè, per ora abbiamo solo dei riscontri ambigui, i quali però ci interpellano: “se così non va, allora bisogna pensare qualcos’altro ancora”.
Ieri, 11 luglio, san Benedetto, si è tenuta a Kiev la preghiera per la pace in Piazza Santa Sofia, fortemente voluta dalla Santa Sede. Perché pregare serve? Non teme che dopo la preghiera continuerà tutto come prima?
Mi impressiona di San Benedetto il racconto fatto da Gregorio Magno, dove si dice che il giovane Benedetto aveva già fatto un miracolo con la sua preghiera, eppure disse a tutti: “devo andare nei luoghi inabitati e stare da solo, per convertirmi”. Ecco: umiltà e preghiera. Un’umiltà immensa e una preghiera potentissima, che ha protetto Benedetto persino dai suoi “amici” diventati oppositori, i quali di tanto in tanto hanno cercato di ucciderlo. Per me è un esempio di come ci vuole sempre una grande umiltà da parte nostra, e una preghiera fiduciosa, le quali insieme – umiltà e preghiera – producono dei miracoli. Prendendo per immagine la storia di Abramo, se saremo almeno in dieci ad essere davvero umili e fiduciosi, potremo fare tanto, insieme. Non posso solo continuare a puntare il dito contro gli assassini: devo fare anche la parte mia.
Qual è il compito che san Benedetto, con la sua opera e la sua regola, affida ancora oggi alle due Chiese, cattolica e ortodossa?
Quanto più saremo figli di San Benedetto, concentrati sullo spirituale, e non su altre cose, penso che ritroveremo presto i cammini dell’unione di cuori, dove si riduce al minimo l’importanza delle differenze: storiche, giuridiche, eccetera.
Orbán, presidente di turno dell’UE, ha incontrato Zelensky, Putin e Xi con il proposito di concordare una tregua che renda possibili negoziati di pace. Prima Michel ha detto che Orbán è senza mandato; poi altri Paesi lo hanno accusato di condotta sleale. Secondo lei Orbán dovrebbe fermarsi o continuare?
Se conoscessi dal di dentro ciò che l’uno o l’altro politico sta pensando, quali intenzioni ha, potrei permettermi di dare un giudizio. Adesso, no.
Zelensky e Putin si oppongono alla tregua perché ritengono che servirebbe al nemico per riorganizzarsi. È il risultato inevitabile del fatto che la guerra distrugge, insieme alle persone, anche la fiducia. Come si può ricostruirla?
Innanzitutto, mi colpisce enormemente il fatto che non vengano osservate le norme più basilari del diritto umanitario internazionale, e anche quelle concrete delle Convenzioni di Ginevra, per quanto riguarda il trattamento dei civili nei territori occupati. Basta leggere in merito i reports dell’OHCHR (Ufficio dell’Alto commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani, nda). A mio avviso, il rispetto del diritto umanitario è di primordiale importanza anche al fine di recuperare un minimo di fiducia. Altrimenti tutti mi dicono: che senso hanno gli accordi, se poi non vengono rispettati neanche quelli basilari?
Come giudica invece la politica estera europea con riferimento all’Ucraina? Bisogna o non bisogna “parlare con il nemico”?
Non ho una risposta facile a questa domanda. È evidente che qualche canale di comunicazione va sempre preservato, ma di quale ampiezza e di quale genere, è una questione sulla quale ci possono consigliare gli esperti nelle comunicazioni e nella psicologia. Va sempre cercato il metodo più efficace, e io non penso di poter dare consiglio a tutti gli esperti.
Quali iniziative realisticamente perseguibili dovrebbe o potrebbe assumere, a suo giudizio, l’Unione Europea?
Come prima cosa, spontaneamente penso a due sfide: identità culturale dell’Europa e sua unità. Quando non c’è identità, rimangono soltanto gli interessi di ciascuno, economici o di altro tipo. Quando non c’è unità, allora tutti ci possono minacciare, anche di guerra. Quando si è più uniti, anche l’aggressore più agguerrito ci penserà dieci volte se conviene continuare a usare il linguaggio di guerra. Quindi, direi, quando perdiamo la nostra identità e siamo disuniti, siamo già in un certo modo corresponsabili della guerra, nel senso di aver aperto le porte a chi ventila le idee della guerra.
A che cosa pensa in particolare?
Nel 2014 e nel 2022 l’Ucraina è rimasta praticamente sola, se parliamo delle questioni più spinose. Penso che quella solitudine, di fatto, sia stata una delle circostanze che ha facilitato la distruzione a cui ora stiamo assistendo.
(Federico Ferraù)
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