Le contraddizioni degli uni e degli altri, a sinistra e a destra, ma anche al centro, sembrano il sale della democrazia. Ovvero, conviene quel che conviene, se a me conviene. Il ddl Zan, su cui tanto si è dibattuto nella legislatura precedente, a livello nazionale molto più che a livello regionale e senza per altro riuscire ad approvarla per la mancanza di consenso della stessa maggioranza parlamentare, in Puglia è diventata legge regionale. Piuttosto a sorpresa, per la verità, è passata una norma che garantisce pari opportunità e parità di trattamento a prescindere dall’orientamento sessuale e dalla identità di genere. Una legge sostenuta da alcuni e avversata da molti per le troppe criticità.
La Regione Puglia non è certamente la prima Regione italiana ad approvare una legge di questo tipo; viene dopo la Toscana, l’Umbria, l’Emilia-Romagna, la Liguria, il Piemonte, la Sicilia, la Campania e le Marche. Per lo più tutte Regioni governate dalla sinistra nel momento in cui la legge fu approvata. Ma in Puglia è successo qualcosa di particolare, anche per il modo in cui si è giunti all’approvazione. Dopo tanti anni di dibattito sui molteplici punti di vista non condivisi, è bastato un escamotage per approvare la norma e spiazzare l’opposizione: un sub-emendamento sostitutivo dell’intera norma, che ha permesso di evitare la discussione su ben 321 emendamenti e garantire il principio delle pari opportunità e della parità di trattamento in riferimento all’orientamento sessuale, all’identità di genere e alle variazioni nelle caratteristiche di sesso delle persone.
Il sub-emendamento non si “limita” però ad affermare l’impegno della Regione per diffondere la cultura della non discriminazione, consentire a tutti la possibilità di essere se stessi, poter esprimere liberamente il proprio orientamento sessuale, la propria identità di genere o condizione intersex; si spinge molto più in là e finisce con l’uscire dai confini regionali.
La novità è contenuta nel comma 13 del sub-emendamento: “la Regione garantisce fin dalla nascita il diritto alla integrità fisica delle persone che presentino variazioni nelle caratteristiche sessuali”. Il tema è posto subito con la massima chiarezza: perché nessuno si senta discriminato occorre riconoscere subito che l’integrità fisica è un tutto unico, un mix di caratteristiche sessuali e di genere sessuale, percepito anche a livello psicosociale.
Dal momento che la sanità è di competenza regionale, la Regione si assume la responsabilità di tutelare sin dalla nascita ogni persona, a prescindere dalle sue caratteristiche. Il diritto alla non discriminazione inizia fin dalla nascita, ma noi oggi ci spingiamo anche oltre parlando del diritto alla non discriminazione che sorge fin dal momento del concepimento. Il diritto all’integrità fisica è garantito dalla Costituzione all’articolo 32, dove si parla di accesso universale e gratuito alle cure, come di un diritto fondamentale, unico diritto per cui si usa l’espressione “fondamentale”.
Ma la legge regionale appena approvata in Puglia fa un ulteriore passo avanti e promuove specifiche politiche del lavoro, di formazione e riqualificazione professionale. Il DL 216/2003, articolo 3, stabilisce che il principio di parità di trattamento senza distinzione di orientamento sessuale si applica a tutte le persone sia nel settore pubblico che privato, e riguarda l’intero processo lavorativo. Per questo la Regione promuove attività di formazione e aggiornamento per gli insegnanti e per tutto il personale scolastico, per gli studenti e per i loro genitori, nel campo delle pari opportunità, valorizzando le differenze, contrastando gli stereotipi e prevenendo bullismo e cyberbullismo. La legge include la collaborazione con associazioni e organizzazioni del “terzo settore”, per promuovere eventi sociali e culturali che abbiano come obiettivo principale sensibilizzare al rispetto delle persone, indipendentemente dal loro orientamento sessuale, identità di genere o condizione intersex.
Obiettivo: la diffusione della cultura dell’integrazione e della non discriminazione. La legge prevede tutela e sostegno alle vittime di discriminazione e istituisce nell’ambito dell’Osservatorio regionale delle Politiche sociali un “Tavolo tecnico sulle pari opportunità, la parità di trattamento, la prevenzione e il contrasto delle discriminazioni e delle violenze determinate dall’orientamento sessuale, dall’identità di genere”.
Ultimo punto, la legge dispone che il Corecom, in quanto organismo di garanzia, effettui la rilevazione sui contenuti della programmazione televisiva e radiofonica regionale e locale, nonché dei messaggi commerciali e pubblicitari, eventualmente discriminatori rispetto alla pari dignità riconosciuta ai diversi orientamenti sessuali, all’identità di genere o a una condizione intersessuale della persona.
In altri termini la legge in questione ha una penetranza su molteplici piani, da quello sociosanitario a quello tecnico culturale, da quello scolastico a quello professionale, da quello economico-commerciale, a quello mediatico-giudiziario che non lascia nulla di escluso. E soprattutto trasforma una classe di persone che finora si sono sentite marginalizzate in una vera e propria élite socio-culturale, super garantita in ogni aspetto della propria vita come nessun altra. Una vera e propria classe sociale a cui tutto sarà concesso, anche ciò che viene precluso a moltissime altre classi. Una legge che trasforma ciò che finora è stato un ostacolo in un vero e proprio privilegio, ribaltando totalmente la situazione, ponendo le antiche vittime in persone a cui nulla potrà essere più negato, tanto da rendere chiaramente desiderabile farne parte.
Con una doppia conseguenza: far aumentare in misura esponenziale il numero degli appartenenti e capovolgere la dinamica dei ruoli. Cosa che è facile constare fin da ora non solo nel 50% delle Regioni: 10 su 20, ma in ogni aspetto della vita sociale. E se la discriminazione è sempre un male, privilegi e prevaricazioni lo sono tanto e più ancora!
L’intero dibattito ha tratto forza della legge sull’autonomia differenziata, pubblicata da poco, il 26 luglio 2024, che provvede alla definizione dei principi generali per attribuire alle Regioni ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia. La cosa interessante è che fin dall’articolo 1 si richiama: il rispetto dell’unità nazionale e il fine di rimuovere discriminazioni e disparità di accesso ai servizi essenziali sul territorio; compreso il rispetto dei principi di unità giuridica ed economica, di coesione economica e sociale. L’attribuzione alle Regioni di condizioni particolari di autonomia è però subordinata alla determinazione dei LEP. Cosa che nel caso della legge pugliese manca del tutto. Senza questa precondizione manca un passaggio necessario per stipulare le varie intese tra Stato e ogni singola Regione richiedente e quindi realizzare l’autonomia differenziata, come questa legge prevederebbe; per cui sembra che le perplessità aumentino mano a mano che si entra nello spirito della legge e se ne riconosca, dietro alcuni aspetti di legittimità, gli innumerevoli aspetti di parzialità e quindi di ulteriore discriminazione.
Il famoso articolo 3 della nostra Carta costituzionale recita: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”. Non di solo sesso sono fatte le discriminazioni contro l’uomo e la donna, ma anche di molti altri fattori, almeno altrettanto pregnanti sul piano della dignità umana!
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