All’Eurogruppo di lunedì è stato ribadito che si cercherà di garantire “un’attuazione rapida e coerente” delle nuove regole del Patto di stabilità e crescita, sapendo che porterà “a un orientamento di bilancio restrittivo per l’intera Eurozona nel 2025. Ciò è appropriato alla luce delle prospettive macroeconomiche, della necessità di continuare a rafforzare la sostenibilità di bilancio e di sostenere l’attuale processo disinflazionistico”. Il punto è che “un consolidamento fiscale graduale e duraturo nell’area dell’euro continua a essere fondamentale in futuro, data la necessità di ridurre gli elevati livelli di disavanzo e debito”. Tuttavia, “allo stesso tempo, ciò dovrebbe essere effettuato in modo da ridurre al minimo l’impatto sulla crescita”. Come evidenzia Luigi Campiglio, Professore di Politica economica all’Università Cattolica di Milano, «lo statement dell’Eurogruppo non è semplice da decifrare. Se la politica è l’arte del possibile, andrebbero prese solo alcune sue parti, alcuni obiettivi, non il testo in blocco da seguire alla lettera».
Anche perché sembra sostenere che si possa continuare a crescere, nelle attuali condizioni macroeconomiche, pur perseguendo una politica di bilancio restrittiva…
In linea di principio questo potrebbe anche essere possibile. Tuttavia, a determinate condizioni.
Quali?
In primo luogo, considerando l’impatto che per alcuni Paesi, tra cui l’Italia, hanno gli interessi sul debito sul bilancio pubblico, ci vorrebbe una politica monetaria meno restrittiva, con tassi più bassi. Inoltre, bisognerebbe sfruttare quanto più possibile gli investimenti del Pnrr. Non a caso nello statement dell’Eurogruppo viene ricordata l’importanza dell’attuazione del Recovery and Resilience Facility.
Perché sono così importanti questi investimenti?
Perché possono migliorare la produttività e conseguentemente contribuire a innalzare il livello dei redditi disponibili delle famiglie, in modo da alimentare i consumi e la domanda interna. Infine, è importante che anche la domanda estera sia in crescita, in modo che l’export possa trarne beneficio.
Sembra che le nuove regole del Patto di stabilità per l’Italia si tradurranno nella necessità di un rientro del deficit/Pil dello 0,5-0,6% l’anno per un periodo di sette anni. È uno sforzo sostenibile?
Sarebbe importante capire come verrebbero conteggiati gli interessi sul debito pubblico. Non è un dettaglio irrilevante, dato che l’anno scorso sono ammontati a oltre 80 miliardi di euro. Al di là di questo penso che si tratti di una traiettoria di rientro percorribile, purché si verifichino quelle condizioni di cui ho parlato poc’anzi.
Ci sono, quindi, dei “se” non proprio irrilevanti…
Dice bene. Non è un percorso così liscio. Assomiglia a una corsa a ostacoli. Quest’ultimi non sono tantissimi, ma esistono.
A margine dell’Eurogruppo, il ministro delle Finanze tedesco Lindner ha detto di attendersi che tutti gli Stati membri rispettino le regole fiscali comuni. “È nel nostro miglior interesse comune mantenere la sostenibilità del debito comune e credo che qualsiasi futuro Governo francese debba rispettare queste regole”. Per una volta sembra che sul banco degli imputati non ci siano i conti dell’Italia, ma quelli della Francia.
Sì, è così. Del resto il loro deficit su Pil non è poi tanto distante dal nostro. Da un lato si potrebbero leggere queste dichiarazioni come un ammonimento anche per l’Italia, perché se alla Francia non verranno fatti sconti, non ci si potrà aspettare nulla di diverso per gli altri Paesi membri. Dall’altro, tuttavia, è difficile pensare che i rapporti privilegiati tra Berlino e Parigi spariscano da un giorno all’altro: ci potrà sempre essere il modo di trovare qualche margine di discrezionalità. L’importante è che sia in Francia che in Italia che nel resto d’Europa le regole fiscali non creino effetti controproducenti.
Cosa intende dire?
Nel suo ultimo numero L’Economist, attraverso i dati Ocse-Pisa, fa emergere un quadro che ricorda come effettuare tagli all’istruzione possa essere molto controproducente. Abbiamo, infatti, bisogno di investimenti nel cosiddetto capitale umano per far sì che cresca l’innovazione e quindi la produttività con effetti positivi sull’economia. E questo dell’istruzione è solo un esempio dei settori che rischiano di essere danneggiati, con conseguenze indesiderate, dalla politica restrittiva che in Europa si sta evocando.
Lindner ha anche detto che “la mutualizzazione dei rischi, delle responsabilità e del debito non contribuisce alla stabilità, quindi non sarà sostenuta dalla Germania”. Fino a quando si potrà fare a meno di un debito comune?
Se non si vuole una mutualizzazione del debito occorre fare almeno in modo che la Bce possa evitare che alcuni Paesi abbiano un fardello così pesante dovuto agli interessi sul debito che hanno ereditato.
Anche in questo caso la Germania non sembra d’accordo né a tagliare i tassi, né a portare avanti il programma di riacquisto dei titoli di stato della Bce…
Qualcuno dovrà pur spiegare non dico ai tedeschi, ma ai tavoli europei che contano, che non si può avere la moglie ubriaca e la botte piena.
(Lorenzo Torrisi)
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