Insieme al sindacato Confsal ci stiamo occupando di un caso emblematico in cui una madre lavoratrice con contratto full-time è rientrata dalla gravidanza facendo richiesta di riduzione d’orario per allattamento come prevede l’art 39 della legge 151/2001, avendo la bambina nell’asilo nido aziendale (di tutto un gruppo), che non è collocato all’interno di alcuno stabilimento facente parte del gruppo. La sede dell’asilo nido dista dalle sedi degli stabilimenti almeno 1,5 km, se non addirittura 5. Non è, quindi, situato nelle immediate vicinanze. Ma l’articolo 39 prevede che “in caso di fruizione dell’asilo nido o di altra struttura idonea, istituiti dal datore di lavoro nell’unità produttiva o nelle immediate vicinanze di essa, i riposi si riducono della metà”.
La questione che si pone è evidente, dunque, in quanto l’asilo non è nelle immediate vicinanze e alla madre occorrono entrambe le due ore di riduzione perché la lavoratrice per usufruire del suo diritto necessita di tempo idoneo. Non solo la norma è ambigua perché non specifica il “concetto di immediate vicinanze”, ma mette in grave difficoltà la ratio del diritto al permesso di cui all’art. 39 del D.lgs. 151/01 comma 3, laddove tale permesso è ridotto della metà in presenza di asilo aziendale, rispetto a coloro che lavorano in un ambito dove non è presente un asilo nido aziendale. (commi 1 e 2). Nel caso di specie è fondamentale definire in che modalità la struttura del nido è collegata all’azienda e viene definita asilo aziendale non essendo ubicato all’interno del luogo di lavoro della madre o convenzionata con l’azienda; occorrerebbe stimare contestualmente sia l’elemento distanza, così come prospettato, di 1,5-5 km, sia l’elemento tempo di percorrenza di detta distanza, tenendo conto di ulteriori caratteristiche dei luoghi circostanti, quali ad esempio il traffico, la presenza di mezzi pubblici, la possibilità di raggiungere la destinazione a piedi agevolmente e comunque il tempo necessario per allattare il bambino che difficilmente si esaurisce in pochissimo tempo. Comunque la questione dovrebbe essere risolta con il buonsenso tra la lavoratrice e il datore di lavoro, così da permettere il pieno godimento del diritto a favore della lavoratrice oppure stabilire se, al contrario, in considerazione della distanza della struttura, tale diritto venga compresso, svilendo la volontà del legislatore.
In ogni caso anche il supporto delle rsu aziendali nell’ambito della contrattazione di prossimità può porre e risolvere la questione. Diversamente si deve porre un interpello all’Inps che è il referente normativo adeguato.
Vero è che il diritto di fruire dei riposi in questione ha natura di diritto potestativo, inteso quest’ultimo quale situazione giuridica soggettiva consistente nell’attribuzione di un potere alla lavoratrice madre cui corrisponde dal lato del datore una posizione giuridica passiva di soggezione e non di obbligo; il datore deve, infatti, consentire alla madre la fruizione dei permessi qualora la stessa presenti esplicita richiesta. L’articolo 39 è volto a favorire la conciliazione tra la vita professionale e quella familiare, stabilendo nei confronti della lavoratrice madre il diritto a una o due ore di riposo giornaliero (a seconda della durata della giornata lavorativa perché se fino a 6 ore di lavoro il diritto è di 1 ora, se ne ha 8 il diritto è a 2 ore di allattamento) per accudire il figlio, entro il primo anno di età. La norma non specifica la collocazione temporale dei riposi, limitandosi a stabilire che, qualora siano due, essi possano anche essere cumulati.
Si tenga conto anche che il padre lavoratore può richiedere il riposo per allattamento giornaliero in alternativa alla madre L’allattamento, infatti, è facoltativo: se una madre non vuole usufruirne basta che non faccia domanda. In tal caso, sempre se vuole, potrà farla il padre. Sempre di buonsenso si tratta, ma anche di normative chiare.
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